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La relazione è tutto

10/25/2011 | Andrea Giacobino

Bill Harris sta per lanciare una rivoluzione sul mercato dei servizi finanziari degli Stati Uniti. Si chiama Personal Capital, una start up che Harris, un veterano della Silicon Valley...


Bill Harris sta per lanciare una rivoluzione sul mercato dei servizi finanziari degli Stati Uniti. Si chiama Personal Capital, una start up che Harris, un veterano della Silicon Valley e già capo di Intuit dal 1994 al 19999, ha finanziato personalmente con 27 milioni di dollari. Si tratta di portare su Internet tutte quelle soluzioni di wealth management capaci di attrarre i clienti medi (con portafogli da 200.000 dollari a un milione) che non sono sufficientemente appetibili per le grosse case di investimento come Goldman Sachs o Morgan Stanley. Harris partirà con un sito gratuito (personalcapital-com) che in prima battuta aiuterà le persone a monitorare le loro finanze e a migliorare lo stato di salute dei loro portafogli. Conti bancari, fondi, gestioni, piani pensionistici, mutui, carte di credito e di debito: tutto finirà nel “cervellone” di Personal Capital che a sua volta elaborerà il grado di esposizione al rischio prospettando diverse soluzioni di asset allocation.
 
Fin qui la creatura di Harris poco differisce da altre formule presenti su siti americani (wikinvest.com, sigfig.com o mint.com). Ma poi Harris vuole fare un salto qualitativo, facendo incontrare via Web i clienti con financial advisor registrati. La start up ne ha già arruolati una decina e intende crescere di numero con l’aumentare del business. A ogni cliente verrà quindi assegnato un consulente finanziario “online” che disegnerà soluzioni personalizzate di investimento e che sarà contattabile da parte del cliente via telefono, mail, video chat o instant message. Il costo? Dallo 0,75% allo 0,95% degli asset investiti: quindi un prezzo decisamente competitivo per un servizio che l’industria del wealth management fa pagare tra l’1,5% e il 2%. Ma, sopratutto, questo advisor “virtuale” porterà la sfida di Harris direttamente nei confronti delle grandi case americane indipendenti di servizi finanziari come Charles Schwab o Fidelity.
 
Il lancio di Personal Capital avviene in uno dei momenti più delicati che stanno vivendo i mercati finanziari, alle prese con una crisi dagli esiti imprevedibili e sullo sfondo di un rallentamento economico che colpisce sia gli Stati Uniti sia l’Eurozona, alle prese con problemi ancora più gravi. In tale frangente molti hanno sollevato dubbi sulla possibilità che l’iniziativa di Harris abbia successo perché nel pieno della tempesta della volatilità l’investitore difficilmente consegnerebbe in gestione il proprio denaro a una nuova internet company anziché a case di gestione centenarie. Harris la pensa diversamente e osserva che nei passati periodi di boom dei mercati finanziari molti investitori pensavano di essere dei bravi gestori e hanno preferito il fai-da-te, salvo ricredersi a danno fatto e subìto. Oggi, continua, la vera domanda consiste nel chiedersi se le persone abbiano ancora bisogno di una stretta di mano con un consulente finanziario professionista. E Personal Capital scommette di no.
 
Cosa succederebbe se Harris sfondasse sul mercato americano? E cosa accadrebbe se la sua creatura o una simile spuntasse sulla piazza italiana? Prima di ragionare sulle conseguenze nostrane vediamo cosa sta succedendo sui portafogli al di là dell’Atlantico. Nella sola settimana di agosto che si è chiusa il 10 del mese gli investitori hanno riscattato 30 miliardi di dollari investiti in fondi comuni azionari; una cifra fra le più alte dal crack di Lehman Brothers di tre anni fa. Da inizio gennaio a luglio i riscatti netti hanno raggiunto quota di 17,8 miliardi dopo i 280 miliardi già usciti dall’industria dell’asset management fra il 2008 e il 2010. La generazione del “baby boom” è quella che più di ogni altra ha creduto e puntato sul risparmio gestito ma ora, avvicinandosi all’età della pensione, preferisce disinvestire dopo aver conteggiato i danni sui propri portafogli di due anni di mercato orso. E le giovani generazioni, vedendo quel che è successo, e continua a succedere, non credono affatto nella possibilità di arricchirsi in borsa, come ha dimostrato una recente ricerca di Mfs Investment Management condotta su un campione di americani fra i 18 e i 30 anni.
 
Ecco perché, venendo al mercato italiano, la lezione importante che i consulenti finanziari (ex-promotori finanziari) devono ricordare a se stessi - sopratutto in momenti di crisi come questi - è che un buon servizio al cliente è la migliore garanzia non solo di sopravvivenza della categoria, ma della sua crescita. Il patrimonio complessivo gestito dai fondi rischia infatti di scivolare sotto la significativa soglia di 1.000 miliardi: c’è bisogno che i financial advisor nostrani facciano un salto di qualità nella convinzione che la relazione con il cliente è ciò che più conta.

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