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Longevity, le strategie private di Miraglia, Martini e Ruta

6/6/2024 | Daniele Barzaghi

Dal passaggio generazionale alla legacy. Gli approcci dei responsabili Wealth di UniCredit, Banca Mediolanum e Allianz Bank, tra "longevity navigator” e “financial gerontology”


L’industria italiana del private banking, se vuole competere alla pari e prevalere con gli specialisti globali di grandi patrimoni, deve incamerare nella propria offerta i fenomeni demografici in atto, a livello locale così come internazionale. Il tema della longevity, intesa come invecchiamento attivo, centrale nell’evoluzione attuale delle economie occidentali, particolarmente in un Paese con un’età media alta come l’Italia, è destinato a trasformare l’industria della consulenza patrimoniale; un’industria già oggi rivolta in primis a cittadini maturi, detentori di ricchezze ereditate o accumulate durante la vita.

Nei Paesi anglosassoni la pianificazione finanziaria di una clientela sempre più vecchia e sempre più attiva ha fatto nascere figure come i “longevity navigator”, consulenti finanziari espressamente formati sul tema; nelle società esistono addirittura dipartimenti di “financial gerontology”, a riprova dell’opportunità rappresentata.

“La nostra industria è consapevole della necessità di offrire una consulenza patrimoniale basata sul ciclo di vita, ma spesso si pesa maggiormente il valore consulenziale legato a mercati, contesto e dinamiche del momento” afferma Renato Miraglia (in foto in alto), responsabile del wealth management italiano di UniCredit, aprendo la tavola rotonda degli operatori durante l’incontro “Il private banking in un mondo più longevo” organizzato da AIPB e da KPMG. “Sono molto convinto del servizio offerto alla clientela fino ai 55 anni, dove il bisogno di consulenza è stato storicamente sentito come più rilevante, poiché si era in una fase di accumulo della ricchezza. Le teorie statunitensi ci avevano insegnato che intorno ai 60-65 anni iniziava la fase di decumulo, in cui vi erano minori rischi per il patrimonio e si trattava soltanto di applicarvi un’oculata gestione. Nella vita reale però stiamo vedendo che questo paradigma non è più affidabile: con la longevità l’aspettativa di vita si è allungata e così il bisogno di prolungare la fase di accumulo. È questa la vera novità degli anni che stiamo vivendo”.

“Per primo va rivisto il concetto di asset allocation, tralasciando vecchie regole come quella secondo cui l’investimento in equity non è adatto per clienti anziani. Poi bisogna coinvolgere diversamente gli specialisti: non devono essere attivati dai banker soltanto su problematiche puntuali ma devono costantemente essere parte della consulenza. Parlare di longevità prolungata è abbastanza facile quando si parla di beni immobiliari – soprattutto nel caso di proprietà numerose – ma assai meno riguardo ai patrimoni finanziari. Un terzo elemento è rappresentato dall’aumento di servizi di ‘concierge’, dai piaceri all’assistenza alle fragilità. Cui legherei l’ultimo aspetto, quello delle assicurazioni di protezione: oggi gli over 75-80 non sono più assicurabili; quindi ci troviamo in una condizione di bisogno, senza prodotti adeguati”.

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“Negli ultimi due anni il mercato ci è venuto incontro e ci ha insegnato che i fondi obbligazionari o i bond stessi non erano la risposta a tutto. E invece nella gestione del cliente spesso si è delegato a tali strumenti la protezione da eventi sconosciuti” si unisce Mario Ruta (in foto sopra), vice direttore generale di Allianz Bank Financial Advisors. “Mi è capitato spesso di vedere portafogli di clienti coetanei, di 46-47 anni, pieni di obbligazioni proprio in quest’ottica. Io suggerirei invece di fare come ho fatto io: con due figlie ho stipulato una corposa polizza in caso morte, due genitori protetti con RCT e case ben assicurate. Non ho il 70% del mio portafoglio finanziario in fondi obbligazionari ma bensì ho lasciato lavorare il mio capitale, investendone una gran parte nel progetto”.

Se continuiamo a seguire le richieste della clientela, che non vuole rischiare o impiegare il denaro ‘perché non si sa mai’, fra dieci anni ci troveremo anche con un’industria più povera” prosegue. “Le Fee-on-Top o le Fee-Only, viste oggi come uno spauracchio, non saranno un problema perché andremo a risolvere esigenze dei clienti ben al di sopra della logica finanziaria. Ad aprile sono stato negli Stati Uniti, in Texas, e ho visto come stanno approcciando il tema della longevità, con centri benessere distribuiti sul territorio. Anche perché lì non c’è l’assistenza che noi ci aspettiamo dallo Stato”.

“Vorrei essere un po’ brutale” è la volta di Alberto Martini (in foto sotto), direttore Wealth management di Banca Mediolanum. “Partiamo dal presupposto che la nostra industria è uguale a tutte le altre. E infatti ci siamo concentrati inizialmente sul prodotto, perché in esso erano contenuti gli elementi di consulenza funzionali al cliente. Poi però c’è stata un’evoluzione: il cliente voleva vivere un’esperienza. E vi è esperienza di successo quando quello che si riceve è strettamente legato ai propri obiettivi”.

“L’effetto della pianificazione a breve termine è stato disastroso. La recente fuga verso strumenti ‘alla base della catena alimentare’ come depositi bancari e titoli di Stato dimostra che non è stato fatto un buon lavoro consulenziale in questi anni. Dovremmo darci tutti un voto insufficiente. Vi do dei dati: dalla crisi Lehman a quando i tassi di interesse hanno cambiato verso, secondo i dati Assogestioni, la resilienza de clienti italiani sul mercato azionario è stata inferiore ai tre anni” si ferma. “E questo perché il risparmio non è finalizzato. Non c’è associazione tra risparmio e obiettivi. L’industria ha per anni parlato di frontiere efficienti ma il cliente non ragiona così. L’industria ha agito in maniera efficiente ma non efficace. Bisogna fare esattamente il contrario: la pianificazione di lungo termine richiede di partire non dall’inizio, non dal prodotto, ma dalla fine, dagli obiettivi; e fare il processo a ritroso. Come si risolve? Lo si fa sostituendo un sistema assistenziale protettivo, che ci ha reso tutti scemi. Perché negli Stati Uniti negli ultimi 10 anni la ricchezza procapite è cresciuta del 150%; da noi del 10%”.

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“Nel momento in cui ti proteggi, ti metti in condizione di investire a lungo termine” ha sintetizzato il dirigente di quella che è oggi la sesta banca italiana per masse di fascia private. “Serve anche un diverso concetto di banca-assicurazione, che ha rappresentato un altro fallimento epocale. Quando guardi al volume dei premi e non a clienti protetti sei efficiente ma non efficace. Una prospettiva di analisi di dati e di budgeting non può essere a tre mesi. Peraltro” e chiosa, “parliamo tanto di clienti vecchi ma abbiamo anche un tema di banker vecchi. Chiedere a un professionista matura di fare pianificazione di lungo termine è un bell’impegno. Bisognerà cercare di mettergli a fianco qualcuno di giovane, con una visione differenziale del futuro”. “Noi abbiamo il 36% della rete che lavora in team intergenerazionali e polispecialistici, con responsabilità su quasi 11 miliardi di masse” riprende Ruta. “Ogni volta che si torna dagli Stati Uniti si capisce che il loro vero fattore di successo è il lavorare insieme: squadre di 5-6 persone che coprono diverse aree di competenza, con risultati tangibili e migliori margini”. 

“Visto che Mario è recentemente stato in Texas” sorride Martini, “introdurrei il concetto di ‘legacy’, più interessante rispetto a quello di passaggio generazionale. È il tema dell’eredità che coinvolge tutti i capitali: umano, finanziario o aziendale. Che i banker vengano lasciati nel 77% dei casi dopo la morte del cliente è semplicemente perché una legacy di prodotto non esiste. Il prodotto è un’esperienza non trasmissibile”. E, ancora: “è il piano, con il concetto di trust all’americana, che consente di procedere in continuità. Il passaggio generazionale è errato anche in termini di racconto, dando l’idea di un prima e di un dopo. Fino a pochi anni fa il wealth planning era rivolto a clienti al termine della propria vita, ma oggi la domanda è evoluta molto più rapidamente dell’offerta: i clienti sono ben più consapevoli delle tematiche ed è l’industria ad essere in ritardo. Bisogna aiutare i banker a uniformarsi in un approccio, quasi certificato. Con banche e assicurazioni trasformate in società di consulenza”.

 

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