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Il mercato potenziale della consulenza

5/27/2011 | Nello Mascioni

Il mercato potenziale può essere analizzato in relazione a molteplici variabili tutte ovviamente fondamentali per capire lo sviluppo di questo nuovo servizio: il numero di clienti potenziali, gli asset da consulenziare, la propensione all’acquisto, il profilo di rischio del cliente potenziale.


 

In questo articolo l’attenzione è posta alla propensione all’acquisto del servizio. La propensione è influenzata certamente dalla ricchezza investibile, dalla relazione del cliente con il denaro e gli investimenti, dal livello di cultura finanziaria e di interesse del cliente verso il mondo finanziario.
Partiamo da una indagine Patti Chiari che analizza l’indicatore del livello medio di cultura finanziaria degli italiani nel 2010 (ICF PattiChiari2010), scomposto in tre sotto variabili: il livello di preparazione finanziaria, il livello di informazione e le scelte comportamentali. L’indicatore è calcolato in una scala da 0 a 10 dove 0 significa totale assenza di qualsiasi concetto o idea correlata al mondo finanziario, mentre 10 indica una conoscenza ottimale di nozioni, termini e concetti finanziari di base. L’indagine del 2010 mostra un valore dell’ICF pari a 4,3, salito dal livello di 3,5 del 2008 del 31%. Un incremento riconducibile alla forte variazione positiva dell’indicatore relativo al livello di informazione degli italiani (+26%). 
L’indagine ha poi evidenziato che il livello di cultura finanziaria è influenzato positivamente dal titolo di studio e dal reddito procapite.
Sinteticamente lo studio mette in evidenza che gli Italiani non raggiungano ancora la soglia giudicata di sufficienza (valore almeno pari a 5) né a livello di indice sintetico né in alcuna delle sue componenti: ciò significa che il cittadino medio italiano dispone di un livello di preparazione finanziaria insufficiente, si informa poco e tende a non “mettere in pratica” le conoscenze finanziarie possedute. Analizziamo ora due variabili: la velocità e la difficoltà di percezione degli elementi distintivi di un servizio di consulenza da parte di un risparmiatore, almeno in questa prima fase. Questo approccio consente di immaginare una distribuzione temporale dello sviluppo del mercato della consulenza finanziaria a pagamento, sia essa offerta all’interno delle banche, sia essa offerta da operatori indipendenti. Alcuni servizi sono di veloce e facile percezione e apprezzamento, come ad esempio la negoziazione delle condizioni da parte dei consulenti indipendenti, o la personalizzazione del servizio o ancora la semplificazione amministrativa ottenuta con il contributo del consulente. Al tempo stesso è evidente che la performance incrementale, rispetto cioè a quella che si sarebbe ottenuta senza la consulenza, sarà l’elemento distintivo più complesso e più lentamente da apprezzare: l’incremento marginale della performance sarà visibile solo ex-post e dovrà essere compresa alla luce del contesto di mercato nel quale si è agito.
Quanto più il cliente ha una cultura finanziaria elevata tanto più si ridurranno i tempi di percezione e apprezzamento della qualità del servizio ricevuto. Il mercato potenziale dipenderà in parte dalla velocità di interiorizzazione della dialettica con il proprio consulente di fiducia: questa interiorizzazione a sua volta dipende dai bisogni soddisfatti dal cliente attraverso il rapporto con il proprio consulente interno o esterno alla banca. Da questo punto di vista allora il mercato potenziale per la consulenza finanziaria, all’interno e all’esterno delle banche, è certamente rilevante perché risponde al bisogno di colmare quel gap informativo e culturale tra cliente e controparte. Il consulente può giocare un ruolo fondamentale per ridurre le asimmetrie informative presenti tra la maggior parte dei clienti e gli operatori finanziari.
A questo punto è necessario chiedersi perché un cliente che non aderisce ad un servizio di private banking, pur avendo una ricchezza finanziaria superiore a 500.000 euro, dovrebbe rivolgersi ad un consulente sugli investimenti indipendente o alla sua stessa banca per un servizio tipicamente private o quanto meno upper affluent? O meglio le famiglie italiane sono pronte per pagare una parcella a un consulente interno o esterno alla banca come ad un medico, un avvocato o un commercialista? 
 
A parere di chi scrive certamente ci sono vari elementi che lasciano intravedere una risposta positiva alla domanda: 1) in un mondo che si concentra aumenta il desiderio di indipendenza ed obiettività da parte dei clienti; 2) i prodotti sono sempre più numerosi, complessi e sofisticati e quindi richiedono necessariamente una comunicazione diretta, familiare e non istituzionale che consenta di capirne l’essenza; 3) i mercati sono complessi e la performance dipende anche dai costi sostenuti; 4) sempre più clienti usano internet: è in atto una evoluzione generazionale ed una strutturale modifica nei comportamenti; 5) il cliente ha bisogno di un partner riconoscibile con cui dialogare trasversalmente per una molteplicità di bisogni e soprattutto per recuperare il gap previdenziale e mantenere un costante tenore di vita; 6) la costante evoluzione della normativa verso la riduzione dei potenziali conflitti di interesse tra le banche e i clienti spingerà le banche sempre di più ad adottare modelli di servizio basati sulla consulenza e su una piena trasparenza nei sistemi di pricing dei prodotti e nei modelli di remunerazione degli intermediari.
L’ultimo punto rappresenta un rilevante propulsore verso una offerta di servizi di consulenza da parte degli intermediari sia come risposta ai nuovi correnti ed ai cambiamenti del mercato, sia come leva per rilanciare il risparmio gestito. Il servizio di consulenza quindi diviene una necessità per tutti gli attori del mercato finanziario, e tra questi anche per le famiglie: quanto più saranno informate tanto più efficienti dovrebbero essere i loro portafogli finanziari orientati al lungo termine. Una recente indagine ha chiesto ad un panel di clienti se erano disposti a pagare una prezzo per ricevere un servizio di pura consulenza in base a tre distinti livelli di prezzi indicati. I clienti già serviti da strutture di private banking hanno mostrato una maggiore propensione per tutte e tre le percentuali di costo aggiuntivo ipotizzate a testimonianza dell’apprezzamento del servizio da parte della clientela. Un’altra ricerca ha evidenziato che una parte rilevante della clientela con attività superiori a 500.000 euro e non serviti da modelli specializzati e ancora in strutture retail è interessata ad un servizio di consulenza finanziaria a pagamento. Il mercato è in evoluzione e sempre più segnali indicano la nascita di un mercato potenziale crescente per un servizio di consulenza finanziaria non connesso direttamente alla vendita di prodotti.
 
Articolo tratto dal numero di maggio di ADVISOR

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