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La stessa taglia per tutti i gestori

5/19/2011 | Giulio Sandrelli

Mentre ancora siamo in attesa che la direttiva UCITS IV sia recepita in Italia, le istituzioni comunitarie muovono passi in avanti. La Commissione Europea ha messo in cantiere riforme su più fronti d’intervento, proiettandosi già nello scenario di una “UCITS V”.


Mentre ancora siamo in attesa che la direttiva UCITS IV sia recepita in Italia, le istituzioni comunitarie muovono passi in avanti. La Commissione Europea ha messo in cantiere riforme su più fronti d’intervento, proiettandosi già nello scenario di una “UCITS V”. 
Tra gli interventi in corso di elaborazione si segnala quello che investe le politiche di remunerazione dei gestori di fondi. Si è infatti concluso da poco il procedimento di consultazione su un documento di lavoro della Commissione che pone le basi per un disciplina della remunerazione dei manager di tutti i fondi di investimento, così allineando la legislazione del settore a quella bancaria, finanziaria e in materia di fondi di investimento alternativi (quest’ultima solo sulla carta, dal momento che la direttiva comunitaria è finora rimasta allo stato di proposta).
Le ragioni ispiratrici dell’intervento sono chiare. A seguito dell’emanazione delle norme sulle politiche di remunerazione dei manager bancari e delle imprese di investimento, la Commissione intende evitare che quello del risparmio gestito rimanga l’unico settore finanziario privo di linee guida, con il pericolo che si creino pericolose opportunità di arbitraggio. Inoltre, per le SGR che operano all’interno di gruppi bancari, è già avvertita l’esigenza di allineare le politiche di remunerazione dei propri manager a quelle dei dipendenti delle altre società del gruppo. Senza contare che il crescente ricorso a performance fee potrebbe incoraggiare politiche di investimento non in linea con il livello di rischio del fondo.
La soluzione ipotizzata dalla Commissione, tuttavia, ha destato numerose perplessità presso le associazioni di categoria europee (compresa Assogestioni) e le stesse autorità di vigilanza dei singoli stati. Ciò principalmente per il fatto che le linee di intervento delineate dall’esecutivo comunitario sono rigidamente ancorate ai parametri pensati per le banche. Il “piatto forte” della proposta comunitaria prevede, ad esempio, l’“allineamento” dell’interesse dei gestori a quello dei partecipanti al fondo attraverso l’introduzione dell’obbligo di corrispondere una parte consistente della retribuzione variabile del manager sotto forma di quote del fondo. Sono stati in molti a rilevare che si tratta di una linea non coerente con le policies di investimento adottate dai gestori, i quali spesso non perseguono le strategie di absolute return diffuse presso gli hedge fund.
Il documento della Commissione, poi, pone l’accento sul problema dei conflitti di interesse dei gestori di fondi. Ma è evidente che tali conflitti, laddove esistono, hanno forme e manifestazioni diverse rispetto a quelli dei dirigenti di banca: infatti, gli schemi di remunerazione dei primi sono legati alla performance dei fondi gestiti, che già sconta “a monte” - a differenza di quanto avveniva nelle banche prima della crisi - limitazioni all’assunzione dei rischi. La verità è che l’impianto regolamentare del risparmio gestito (con la parziale eccezione degli hedge fund) è di per sé in grado di limitare significativamente le distorsioni originate dagli schemi di retribuzione dei manager delle banche e delle imprese finanziarie. La rigida separazione patrimoniale dei beni di pertinenza dei fondi dalla SGR e le regole di contenimento del rischio degli investimenti dettate dalla disciplina di vigilanza assicurano, già ad oggi, un buon controllo sul grado di rischio assunto dai gestori di fondi. Non a caso, forse, - è la Commissione stessa a riconoscerlo - i gestori di fondi comuni non siedono sul banco degli imputati insieme a coloro che sono accusati di aver causato o aggravato la recente crisi finanziaria. In sostanza, un limitato intervento sulle politiche di remunerazione dei gestori di fondi è ragionevolmente opportuno. Ma un appiattimento sulle linee guida adottate per le altre protagoniste del settore finanziario non è auspicabile: one size does not fit all.
 
Articolo tratto dal numero di maggio di ADVISOR

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