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La riforma fiscale non risolve tutto

4/8/2011 | Massimo Paolo Gentili

Entro il 1° luglio di quest'anno i paesi membri della Comunità Europea dovranno recepire la direttiva UCITS IV, accogliendo nell’ambito della propria industria del risparmio gestito una serie di innovazioni volte a rendere armonico ed efficiente il mercato degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM).


Entro il 1° luglio di quest'anno i paesi membri della Comunità Europea dovranno recepire la direttiva UCITS IV, accogliendo nell’ambito della propria industria del risparmio gestito una serie di innovazioni volte a rendere armonico ed efficiente il mercato degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). La direttiva si articola in alcuni punti che attengono, tra l’altro, un’agevolata procedura di fusione transfontaliera tra fondi, l’introduzione di strutture master-feeder, l’istituzione di un passaporto europeo per le società di gestione e una semplificazione delle operazioni di notifica tra le Autority dei vari Paesi. L'Italia, per rendere applicabili alcune norme previste dalla UCITS IV, si è vista costretta  ad emanare anche una parallela riforma della tassazione dell’intero novero degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR). Questa riforma, attesa dagli operatori del settore da molto tempo, permetterà di adeguare il trattamento fiscale dei fondi italiani a quello degli omologhi veicoli europei armonizzati distribuiti sul nostro mercato.
Ad oggi (e sino al 30 giugno 2011) i fondi italiani sono assoggettati a un'imposta sostitutiva del 12,50% “sul maturato” (ovvero sull'incremento del Net Asset Value) e il relativo prelievo viene effettuato in occasione del calcolo del NAV. Per contro, i fondi europei applicano la medesima aliquota “sul realizzato”, ossia al momento dell’effettiva distribuzione dei proventi, ovvero in sede di realizzo delle quote da parte dell’investitore.
Dopo il crollo delle borse, l’imposizione sul maturato ha creato in pancia ai fondi italiani risparmi d’imposta stimati in alcuni miliardi di euro, che chiaramente non verranno immediatamente resi liquidi, stante la difficoltà dello Stato di “digerire” questo fardello. Essi, ove possibile, verranno assorbiti mediante compensazione con le future plusvalenze dei fondi, ovvero con i proventi degli investitori non appena i mercati lo permetteranno.
La riforma allinea il trattamento fiscale dei prodotti delle differenti giurisdizioni europee, rendendo teoricamente competitivo il sistema Italia. In realtà, a parere di chi scrive, il difetto di competitività dell’Italia va pure ricercato in un insieme di fattori che non si riferiscono al solo settore finanziario ma sono, forse, generali e tipici nel nostro paese: l’elevata burocrazia, l’alta pressione fiscale, la mancanza di elasticità del mercato del lavoro e la bassa credibilità del sistema paese a livello internazionale.
L'ulteriore aspetto importante della riforma riguarda gli schemi di investimento collettivo in valori mobiliari non armonizzati, istituiti e assoggettati a forme di vigilanza in Paesi dell'UE. La riforma era già stata inserita in un decreto legge del settembre 2009, ma prima della sua entrata in vigore era stata depennata sotto la pressione degli operatori del settore che, giustamente, chiedevano che la stessa fosse attuata solo successivamente all’introduzione di quella sulla tassazione dei fondi armonizzati. La portata di tale provvedimento non è affatto secondaria posto che pone sul medesimo piano i prodotti non armonizzati europei e italiani, con l'esclusione dei fondi immobiliari.
Ciò significa che, a partire dal 1° luglio 2011, i proventi incassati dagli enti non commerciali (fondazioni, associazioni senza scopo di lucro, ecc.) e dalle persone fisiche italiane saranno assoggettati esclusivamente alla predetta ritenuta d’imposta, a titolo definitivo, in luogo della ordinaria tassazione Irpef (passando, quindi, da un’imposizione che oscilla dal 23% al 43% ad un’aliquota unica del 12,5%).
Vedremo come reagirà il mercato a queste due novità che, dal punto di vista teorico, dovrebbero produrre conseguenze opposte, ovvero: i) assicurare un po’ di slancio all’industria italiana dei fondi di investimento armonizzati; ii) spingere gli operatori a domiciliare i fondi non armonizzati verso hub altamente specializzati (i.e. Lussemburgo).
La riforma sulla tassazione dei fondi non armonizzati era un atto dovuto, atteso che la Commissione Europea aveva già comminato all’Italia una sanzione per violazione della normativa UE in materia di concorrenza fiscale sugli investimenti. In sintesi, comunque vada sarà un grande successo... ma l’impressione è che così sarà per le altre giurisdizioni.
 
Articolo tratto dal numero di aprile di ADVISOR

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