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Reti, sul cambio di casacca pesano brand e tecnologia

8/23/2021 | Daniele Riosa

L’appeal verso la professione da parte dei laureati è in calo. Forse il lavoro da consulente finanziario viene ancora percepito, da chi non lo conosce bene, come al pari del lavoro dell’intermediario commerciale?


Meno laureati e più diplomati tra coloro che scelgono la professione di consulente finanziario. È questo uno dei dati più rilevanti che emergono dal recente sondaggio (campione di circa 260 consulenti finanziari) che Start Up Italia, società di head hunting specializzata nella ricerca e se- lezione di consulenti finanziari e private banker, ha condotto per ADVISOR

 

Come sottolinea Valerio Giunta, amministratore di Start Up Italia, in due anni, ovvero dal 2019 al 2021 “i diplomati in materie economiche e giuridiche che svolgono la professione passano dal 35 al 44%, mentre i laureati in materie economiche con laurea triennale diminuiscono dal 9 a 7 per cento”. In sostanza l’appeal verso la professione da parte dei laureati è ulteriormente in calo. “Forse il lavoro da consulente finanziario viene ancora percepito, da chi non lo conosce bene, come al pari del lavoro dell’intermediario commerciale?” si chiede Giunta.

 

Un altro aspetto importante che il sondaggio mette in luce, è che le banche tradizionali, che nel 2019 rappresentavano la prima scelta dei consulenti, sono finite indietro: gli stessi bancari pensano che il modello di rete sia quello vincente. Come spiega Giunta si è assistito a un “netto cambio di rotta da parte dei dipendenti bancari che, contrariamente al sondaggio di 2 anni fa, mettono al primo posto nella loro scelta una banca non ‘convenzionale’ come FinecoBank. Slitta al terzo posto Intesa Sanpaolo e in posizione più defilata Uni- Credit (che invece dominavano la scena del 2019). È evidente che le raccolte record delle banche-reti durante il periodo del Covid sono frutto, oltre che di una maggiore capacità di stare sul mercato, anche della capacità dei liberi professionisti di rimanere a stretto contatto con i loro clienti. Questa dinamicità ha portato a far apprezzare maggiormente le strutture che sono riuscite a seguire maggiormente i consulenti liberi professionisti in questo sforzo”.

 

Nella scelta dei bancari cresce certamente la necessità di avere una buona piattaforma operativa: il valore passa dal 37% del 2019 al 43%, con un balzo di ben 6 punti percentuali. Dall’altro lato diminuisce la percezione dell’importanza della formazione nella scelta di una nuova azienda.

 

Tornando ad analizzare i dati dei due settori, bancario e finanziario, emergono altri spunti interessanti: in due anni è aumentata in modo significativo la quota di coloro che lavorano nel settore da oltre 20 anni: si passa dal 45% al 61%. Passa invece dal 7 al 9% la quota di coloro che sono nel settore da meno di 5 anni. “La lettura dei dati - spiega Giunta - evidenzia che, per circa 15 anni, non c’è stata da parte delle banche la reale volontà di fare un sostanziale cambio generazionale. Solo ora si assiste a una leggera ripresa dell’ingresso di giovani. Ciò che è accaduto è che le banche tradizionali, a causa dei progressivi tagli nel personale, non hanno più inserito giovani e le banche-reti non hanno più avuto il loro bacino naturale da cui attingere. C’è da sottolineare, però che da circa 5 anni alcune realtà hanno invece ripreso a inserire giovani”. Veniamo alla fedeltà al brand: chi lavora nello stesso istituto da meno di 5 anni è passato dal 22% al 30%, mentre rimane invariata al 30% la percentuale di coloro che sono nello stesso istituto da più di 20 anni. A questo proposito l’amministratore di Start Up Italia mette in luce come sia “confermata la maggior mobilità in ingresso: è aumentato il numero di giovani che hanno iniziato da poco la professione. Oltre a ciò è aumentato il numero di coloro che hanno un contratto misto. A conferma di questo rimane invariata la percentuale di affezionati con oltre 20 anni di esperienza nello stesso istituto (il 28%) mentre si riduce leggermente il numero di coloro che cambiano nel periodo tra i 6 ed i 19 anni di permanenza in uno stesso istituto”. Inoltre, ai professionisti, Start Up Italia ha chiesto quali siano i punti di forza e di debolezza dell’attuale impiego. Passa dal 32 al 44% il gradimento verso i servizi personalizzati alla clientela offerti dall’attuale mandante. “Ciò - rileva Giunta - conferma una sempre più forte attenzione verso il cliente finale”.

 

Si riduce l’importanza che viene data dai professionisti alla presenza sul territorio: cala, infatti, di 8 punti percentuali la percezione di questo valore come dirimente per un consulente finanziario. Anche la qualità dei prodotti offerti è diventata un’asset fondamentale per gran parte dei consulenti intervistati. Da questo punto di vista, è raddoppiata (dal 30% al 60% circa) la percentuale di coloro che ritengono di avere in portafoglio degli ottimi prodotti. Ma in che modo le banche e le reti oggi vanno a caccia di “talenti”? Secondo l’indagine realizzata da Start Up Italia, rispetto al 2019, è diventato sempre più dominante il ruolo delle “referenze” (passate dal 32% al 46%), mentre le società di selezione sono scese dal 21% al 18%. Per comprendere questo dato è importante evidenziare che “i tempi medi per maturare la decisione di passaggio da una realtà all’altra sono di 18 mesi” spiega Giunta. “Questo comporta che, maturato il rapporto con il manager reclutatore, il candidato dimentica l’origine del primo contatto e probabilmente attribuisce più merito del dovuto alle referenze. È comunque innegabile che ciò che sottende ai passaggi da una realtà all’altra è la fiducia. È questo l’elemento fondamentale. I manager che hanno spessore umano, sono più capaci di entrare in empatia con il candidato e sono anche quelli che sanno dire di no a candidati che possono avere maggiori rischi nel passaggio. Altri manager sono affabili e corteggiano il candidato fino al momento dell’erogazione del codice poi non hanno una struttura di supporto e procedure agili per agevolare il passaggio di portafoglio e rischiano di arrecare danni alla carriera e alla vita personale dei candidati che decidono di affidarsi a questi. 

 

Per fortuna, all’interno dell’industria, i manager che hanno cuore solo il portafoglio del candidato e non si prendono la responsabilità umana e professionale stanno progressivamente diminuendo. Sono poi gli stessi che non riconoscono il lavoro delle società di selezione contestando l’operato e i pagamenti. Questa è una pratica che si sta sempre più riducendo perché anche le società mandanti si stanno rendendo conto dei danni d’immagine, e quindi economici a lungo termine, che procurano queste persone. La mia società ha scelto di non lavorare con questo genere di manager a tutela nostra ma soprattutto dei candidati che non possono essere selezionati senza fiducia e stima nel manager e nella struttura che commissionano la ricerca”.

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