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6/5/2024 | Mauro Odorico (in foto), Riello Investimenti SGR
Il settore del venture capital in Italia ha avuto una crescita importante negli ultimi anni. Il merito è sicuramente di alcuni soggetti istituzionali, il principale dei quali è CDP Venture Capital, che ha messo in circolo liquidità a sostegno delle start-up.
Grazie all’effetto volano dato da CDP, il comparto è quindi cresciuto molto, portando alla formazione di nuovi team di professionisti, all’ingresso di nuovi investitori, ma anche all’emissione di nuovi strumenti finanziari che hanno iniziato a circolare maggiormente anche nel nostro Paese.
Abbiamo quindi assistito a una maturazione del mercato in generale, grazie all’arrivo di competenze e investitori (anche stranieri) nel nostro territorio e, allo stesso tempo, all’esportazione oltralpe di diverse start-up italiane, come accaduto nell’ambito del biotech.
Lo scenario oggi è sicuramente migliore rispetto a quello che poteva essere dieci anni fa, dove l’Italia del venture capital occupava gli ultimi posti della scala mondiale. Dopo le grandi iniezioni di liquidità degli anni precedenti, il 2023 ha chiuso su note meno positive, con un momento calante del ciclo di investimento; ciononostante il venture capital italiano sta sicuramente registrando livelli superiori rispetto al periodo pre-pandemia.
Alcuni studi dimostrano come in Italia ci sia un forte sbilanciamento tra numero di iniziative imprenditoriali che si affacciano sul mercato e capitali disponibili da investire.
Ciò non avviene in mercati più maturi, come quello anglosassone, dove gli investitori sono più propensi a investire per supportare la crescita di nuove nicchie o nuovi settori.
Sicuramente il grande valore aggiunto del venture capital sta nell’essere uno strumento di innovazione. Diverse ricerche hanno ormai dimostrato che gli investimenti in innovazione sono alla base della creazione della stragrande maggioranza dei posti di lavoro.
È infatti proprio l’innovazione il fattore che consente alle aziende di rimanere competitive sul mercato; tra i settori che danno prova di ciò, oggi vediamo soprattutto il ramo dei servizi, ma anche delle tecnologie e delle biotecnologie. Vi sono poi i nuovi trend sui mercati internazionali, come l’intelligenza artificiale e le tecnologie di quantum computing, quelle che in gergo vengono definite situazione “deep tech” e che richiedono investimenti importanti; qui purtroppo il nostro mercato non ha ancora capitali sufficienti per competere a livello internazionale.
Inoltre, stiamo assistendo a un fenomeno interessante: sta crescendo il numero di “nuove aziende”, quindi start-up, che nascono dalla costola di aziende ben più grandi, con business solidi e ben strutturati. Questo fenomeno ci aiuta a liberarci dall’ideale, a volte “romantico”, che vede la start-up nascere dall’idea brillante di quattro ragazzi nel garage di casa. Molte nuove società di successo hanno oggi tra i soci chiave persone con una certa seniority e quindi con un’esperienza imprenditoriale sul mercato. In particolare, riscontriamo maggiormente questo aspetto nelle realtà del ramo B2B, che ha dinamiche molto diverse rispetto al mondo consumer.
In Italia risiedono grandi opportunità di investimento di questo tipo e sono rappresentate da moltissime Pmi che hanno sviluppato tecnologie innovative che potrebbero avere impieghi in settori diversi da quelli del loro mercato originario o per il quale erano state pensate. È il caso, ad esempio, di aziende che hanno sviluppato tecnologie nell’ambito dei magazzini robotizzati e automatici, che possono impiegare le medesime tecnologie per realizzare vertical farming.
Si dà così il via ad una azienda “spin-off” della Pmi originaria che, pur essendo nuova e giovane sul mercato, è in grado di fare leva sull’esperienza e la maturità tecnologica, evitando quella che gli americani definiscono la “death valley” - ossia quella fase di verifica e approfondimento di mercato su una nuova tecnologia che spesso mette la parola fine al suo sviluppo.
Si tratta di una forma di venture capital più matura, rivolta ad aziende late-stage dove il rischio dell’investimento è “soltanto” commerciale e non più tecnologico
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