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7/30/2018 | Stefano Massarotto – Facchini Rossi & Soci
Se il contribuente, trasferito in un paese a fiscalità privilegiata, fornisce validi elementi di prova – i.e. contratti di locazione, pagamento di utenze – al fine di superare la presunzione di residenza nel territorio dello Stato italiano di cui all’art. 2, comma 2-bis del T.U.I.R., il giudice tributario è necessariamente tenuto ad “(…) assumere e valutare le prove” nonché a “(…) controllarne l’attendibilità e la concludenza”.
Questo è quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19410 del 20 luglio scorso.
Nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria contestava ad un tennista professionista (Davide Sanguinetti), la residenza fiscale tramite l’applicazione del sopra citato art. 2, comma 2-bis del T.U.I.R. e provvedeva al contempo al recupero a tassazione dei redditi sulla base del worldwide principle.
Nel ricorso alla Corte lo sportivo ricordava tuttavia di aver fornito, nei differenti gradi del giudizio, una serie di elementi atti a comprovare l’effettiva residenza a Montecarlo (i.e. pagamento del canone di locazione, fatture di utenze elettriche, rilascio di carta di credito da parte di istituto monegasco, certificazione degli allenamenti sostenuti in loco, biglietti aerei), puntualmente ignorati dai giudici tributari.
Ebbene, la Suprema Corte accogliendo il ricorso del contribuente parrebbe affermare che l’operato della Commissione Regionale fosse viziato da un mancato nonché insufficiente esame dei punti decisivi della controversia.
La sentenza si inserisce nell’ambito di un orientamento giurisprudenziale già condiviso e rappresenta l’ulteriore conferma di come i legami personali e professionali di un soggetto rappresentino uno degli elementi indiziari principali per la determinazione della residenza fiscale.
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