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2/19/2020 | Daniele Riosa
“Non sappiamo esattamente quale sarà l’epilogo dell’epidemia del virus in corso, se è questione di qualche mese o se si protrarrà più a lungo. Se la storia ci ha insegnato qualcosa, l'impatto del coronavirus sarà forte ma breve”. Jasmine Kang, gestore del fondo Growth China di Comgest, spiega che "nel febbraio 2003 la SARS, la più grande epidemia di virus della storia recente, ha polverizzato due punti percentuali di crescita del PIL nel secondo trimestre del 2003 e poi si è concretizzato un rapido rimbalzo nel corso dell'anno. Tale confronto viene utilizzato come riferimento per l’attuale epidemia presumendo che possa essere controllata nel giro di un mese o due. Settori come il turismo, la ristorazione e il retail sono al momento i più colpiti, mentre l'intrattenimento online, la sanità e le assicurazioni ne stanno attualmente beneficiando”.
“Qual che è certo – conclude Kang - è che l'economia dovrebbe riprendersi dopo l'accordo di ‘fase uno’ e il governo cinese dovrebbe continuare a lanciare ulteriori riforme per incoraggiare consumi interni, ricerca e sviluppo e la ristrutturazione delle imprese statali. In questo periodo di volatilità, vediamo opportunità di acquisto in società interessanti e a prezzi migliori”.
Secondo Christoph Dumont di Candriam “l'entità dello shock per la sua economia, come per il resto del mondo, dipenderà da quanto rapidamente le attività in Cina potranno tornare alla normalità. Un nostro calcolo approssimativo suggerisce che uno shock alla produzione cinese della durata di 20 giorni lavorativi porterebbe ad una perdita di un punto percentuale di crescita nel corso dell'anno: la crescita prevista per la Cina sarebbe quindi più vicina al 5% che al 6% nel 2020. Tuttavia, lo shock si concentrerebbe nel primo trimestre e si verificherebbe un significativo effetto di recupero nel secondo trimestre”.
“Le conseguenze economiche di una paralisi più duratura – chiosa Dumont - sarebbero naturalmente più preoccupanti per la Cina, ma anche per il resto del mondo. Il turismo cinese rappresenta oggi circa lo 0,3% del PIL mondiale. Ancora più importante, nell'ultimo decennio, il peso sul PIL delle importazioni di beni intermedi dalla Cina è raddoppiato nella maggior parte dei Paesi. Se la ripresa dell'attività in Cina sarà lenta, l'interruzione delle supply chain potrà diventare più grave”.
Per Charlie Sunnucks, gestore del team Global Emerging Markets di Jupiter Asset Management, “gli osservatori di mercato hanno fatto il paragone con gli effetti dell’epidemia di SARS del 2002. Ci sono, tuttavia, alcune differenze chiave. In termini di impatto sugli umani, la SARS era significativamente meno contagiosa, ma con un tasso di mortalità sostanzialmente più alto. Il risultato è che il Coronavirus è più pericoloso e avrà un’ulteriore diffusione. L’impatto del nuovo virus sull’economia globale sarà probabilmente molto più netto. Quando scoppiò l’epidemia di SARS nel 2002, la Cina, a livello globale, rappresentava poco più del 4% del PIL e solo il 5% circa delle importazioni; nel 2019 questi dati erano passati rispettivamente al 16% e al 10%”.
“La Cina - spiega Sunnucks - rimane un'economia complessa con un ampio spettro di rischi e opportunità. Mentre l'impatto fondamentale di questo virus dovrebbe essere minimo sulle valutazioni a livello aziendale, esso pesa sul sentiment e ha creato il rischio che le difficoltà si trasformino in qualcosa di più sistemico. Uno dei risultati a lungo termine, tuttavia, è che probabilmente acceleri la formalizzazione in settori dell'economia come la vendita al dettaglio di prodotti alimentari e che lo spostamento verso l’online dei servizi e in generale del tempo delle persone diventi sempre più evidente”.
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