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11/29/2016
L’Italia torna al centro dell’attenzione degli investitori internazionali preoccupati questa volta dall’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre che si è tradotto in un voto pro o contro il premier Renzi (nella foto). È probabile un crescente nervosismo all’approssimarsi della consultazione che in caso di vittoria schiacciante del no potrebbe portare alle dimissioni dell'attuale premier. L’incertezza politica in questa fase sta avendo la meglio sulle altre forze in gioco sui mercati e sta colpendo in particolare i settori domestici, primi fra tutti i finanziari, per i quali l’esito del referendum è visto dagli investitori come un tassello importante per definire nel medio termine le prospettive dell’economia italiana e nel breve il destino degli aumenti di capitale del Monte dei Paschi e di UniCredit.
Per alcuni analisti, ogni sorpresa negativa potrebbe avere un impatto negativo nei giorni successivi al referendum sugli attivi periferici, anche se gli effetti potrebbero essere solo di breve termine, mentre il Bund continuerà a beneficiare della domanda di beni rifugio legata all’incertezza politica e alla scarsità di titoli. Dopo questo appuntamento, ci si dovrà confrontare con le banche centrali: Bce e Fed. "Prevediamo che il Presidente della BCE Mario Draghi annuncerà un'estensione del programma di acquisto di obbligazioni nel quadro di allentamento quantitativo, che dovrebbe contribuire a consolidare il mercato obbligazionario europeo" commenta David Zahn, head of European Fixed Income del team del reddito fisso di Franklin Templeton.
Tornando alla consultazione elettorale italiana, altri esperti invece fanno notare come i mercati stiano già scontando un esito negativo: del resto Milano resta negativa di ben oltre il 20% da inizio anno e nelle ultime settimane perfino lo spread ha "allargato" di oltre mezzo punto percentuale, malgrado il presunto benefico effetto del QE, mentre i rendimenti delle obbligazioni spagnole non hanno praticamente registrato alcun allargamento. “I mercati italiani continueranno probabilmente ad avvertire le pressioni dovute al crescente clima d'incertezza ed è probabile che da qui al prossimo venerdì i prezzi anticipino ampiamente una vittoria del No al referendum, riducendo così lo choc potenziale del risultato di lunedì 5” spiega Sergio Bertoncini, strategist di Amundi.
“Non sorprende come molti analisti e osservatori esteri siano preoccupati per l’esito del referendum che, in base ai sondaggi, vede in vantaggio il no rispetto alle riforme proposte dal Governo” aggiunge Riccardo Ricciardi, presidente della branch italiana de La Française, che però smorza le paure. “La condizione tecnica del mercato è già molto “ribassista” con i grandi investitori assenti dai nostri mercati oppure, se presenti, con posizioni “short” o “coperti” da una potenziale caduta significativa dei corsi. Siccome i mercati scendono quando i venditori prevalgono sui compratori abbiamo la forte sensazione che la nostra borsa sia già stata venduta. Quindi, anche se dovesse scendere bruscamene in caso di forte vittoria del no, il calo non durerebbe molto e non sarebbe drammatico” prosegue.
D’altro canto, eventuali segnali di distensione potrebbero portare rialzi anche di grossa portata visto il forte disallineamento di performance del mercato italiano rispetto agli altri principali indici. “È consigliabile quindi avere in portafoglio titoli ciclici che possono beneficiare di questo trend, selezionando quelli che non hanno già scontato troppo in fretta questo scenario, anche grazie al fatto che il mercato vi si è rifugiato in attesa di maggiore chiarezza sui comparti più legati a dinamiche prettamente domestiche. Avere poi una quota di portafoglio investita in società di alta qualità con prospettive di crescita interessanti e meno legate all’andamento del ciclo permette di dare stabilità al portafoglio” commenta Stefano Andreani di Lemanik.
Quanto ai rischi macro che potrebbero impattare l’Eurozona, Viktor Nossek, direttore della Ricerca di WisdomTree Europe (sopra l'asset allocation consigliata dal provider nel caso della vittoria del sì o del no), ricorda il debito pubblico italiano (2,2 trilioni di euro al 133% del Pil) resta il tallone d’Achille d’Italia e dell’Eurozona a meno che la crescita non accelleri. “Le riforme costituzionali diventano ancor più necessarie dato che, senza leve per invertire tale tendenza, l’Italia è adesso vulnerabile a shock esterni fuori dal suo controllo” chiosa Nossek. Staremo a vedere.
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