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Titoli di Stato: ecco perché il consensus non vale

4/22/2013

Le obbligazioni governative richiedono ora un’attenta analisi dei rischi di credito e di duration. Lo spiega Anthony Doyle di M&G


Le obbligazioni governative, da sempre ritenute un’asset class sicura e poco volatile, richiedono ora un’attenta analisi dei rischi di credito e di duration. Infatti non è più possibile prestare denaro a uno Stato in tutta sicurezza senza prima valutare la volontà e la capacità del debitore di restituire le somme ricevute. Uno sviluppo che ha pesato notevolmente sulla performance dei titoli sovrani negli ultimi tre anni. Vediamo come nell'ultimo commento di Anthony Doyle (nella foto) del team fixed income di M&G.

Con il calo dei rendimenti obbligazionari nelle aree avanzate, gli asset con duration lunga come i titoli di Stato e i Gilt britannici indicizzati all’inflazione hanno naturalmente messo a segno ottime performance. Ad esempio, da fine marzo 2010 il mercato inglese dei bond indicizzati è cresciuto del 40%, nonostante il Regno Unito sia stato privato del prestigioso rating AAA.

Sorprende però che il grande acquirente di Gilt, ovvero la Banca di Inghilterra, non abbia investito un solo penny in questi titoli. A tutt’oggi, gli acquisti di bond governativi da parte della BoE (332 miliardi di sterline) hanno riguardato solo i Gilt. Ha invece comprato bond indicizzati il fondo pensione da 3 miliardi di sterline della banca centrale, che a febbraio 2012 era composto per il 95% da Gilt indicizzati e titoli corporate.

Per il resto, chi ha rischiato investendo nei titoli di Stato europei è stato abbondantemente ricompensato. Ad esempio, negli ultimi 3 anni il debito irlandese ha reso il 25%, battendo gli asset ritenuti più sicuri (i Bund tedeschi), i quali hanno generato una performance complessiva del 19%. Detto ciò, sui mercati periferici non è sempre stato tutto rose e fiori. Ne sanno qualcosa i creditori della Grecia, che hanno subito perdite del 40%. A chi ha investito nei titoli di Stato ciprioti è andata un po’ meglio: -6% in tre anni. Mentre chi cercava di proteggersi dall’inflazione italiana con i bond indicizzati del Bel Paese ha guadagnato un mero 6% a fronte di un’accelerazione dei prezzi del 9% nei tre anni considerati; questo a causa del maggior pessimismo circa le previsioni di crescita dell’economia locale.

Ma la palma d’oro per le emissioni governative più redditizie degli ultimi tre anni va ai titoli filippini, che hanno offerto guadagni del 64%, degni di un portafoglio azionario. Questo mercato è stato sostenuto dagli investitori esteri, attirati sostanzialmente dalla solidità dei fondamentali: un mix di rendimenti relativamente elevati, crescita robusta e inflazione modesta.

A dire il vero, questa analisi non serve granché per orientarsi sul mercato obbligazionario nei prossimi tre anni. A memoria, quasi nessuno, a marzo 2010, aveva pronosticato la sottoperformance dei titoli di Stato tedeschi su quelli irlandesi o una sovraperformance di oltre il 30% dei titoli indicizzati britannici sugli equivalenti italiani. Perché quindi prestare attenzione alle previsioni di consensus? Dopo tutto col senno di poi non si sbaglia mai.

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