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12/21/2019
Siamo pronti a dire addio ad un anno caratterizzato da 3 grandi temi che hanno dominato la scena del risparmio gestito in questo 2019, ma che ora devono tradursi in altrettante sfide per non cadere nell’oblio e per diventare, invece, trend di lungo periodo in grado di modificare le dinamiche dell’industria. Il primo è, senza ombra di dubbio, la sostenibilità: ESG ed SRI sono acronimi ormai presenti in tutti i dibattiti. Non c’è rete o SGR che non parli di investimenti sostenibili e della loro importanza per il pianeta e per il portafoglio degli investitori. Anche la consueta ricerca IPSOS-ACRI, presentata in occasione della 95a Giornata Mondiale del Risparmio, ha confermato che si fa strada tra i risparmiatori una maggiore attenzione verso l’indirizzamento dei propri investimenti verso aziende che hanno comportamenti socialmente responsabili. Appurato che domanda e offerta, su questo tema si incrociano, ora serve la responsabilità da parte dell’industria per avviare un cambiamento concreto che porti dibattiti e azioni oltre il semplice annuncio “noi ci siamo”.
Il secondo tema, emerso nel corso del 2019 e che si dovrà tradurre in una sfida concreta nel 2020, riguarda il mondo del “private debt” (e simili). Nel corso del 2019 abbiamo assistito spesso ad annunci relativi ad una “democratizzazione” di questi strumenti di investimento. Ovvero ad un abbassamento importante delle soglie di investimento minime necessarie per investire in “economia reale”. Una scelta dettata da più fattori: da un lato la necessità di trovare “nuove” asset class in grado di generare alpha, dall’altro l’importanza di far arrivare “nuova linfa” alle PMI italiane. Due obiettivi nobili che, però, potrebbero trasformarsi in boomerang se non controlleremo questo processo di “democratizzazione”. Se democratizzare significa rendere più agevoli gli investimenti verso l’economia reale, allora siamo su una strada sana. Ma se democratizzare significa portare il maggior numero di investitori possibili verso questi strumenti, allora rischiamo di “uccidere” un mercato interessante prima della sua reale nascita. La facilità di accesso non deve far dimenticare le altre caratteristiche di questi strumenti.
Infine, il 2019, ha visto una ridefinizione dei concetti e dei valori degli strumenti “passivi” e di quelli “attivi”. Nella prima categoria, dove erroneamente venivano inseriti per anni solo gli ETF, hanno iniziato a far sentire la propria voce i “fondi passivi”, che oggi rivendicano un ruolo fondamentale di supporto al mondo dei fondi attivi chiamati, invece, a generare “reale alpha”. Il binomio “passivi-attivi” assume un nuovo significato dopo anni di scontri. Sarà ora importante, per tutti i gestori, mantenere fede alle promesse. Ovvero: “essere realmente” attivi impegnandosi nella ricerca di “alpha” per distinguersi dai competitor; “essere sapientemente” passivi impegnandosi a “perfezionare” ciò che si “replica”, per non cadere nel rischio di una gestione “inerme”, concetto molto lontano da quello di “passivo”.
Tre trend che potranno nel prossimo 2020 o prendere lo slancio sperato o svanire nel nulla e rientrare nel novero di quelle meteore che troppe volte attraversano il cielo del risparmio gestito.
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