La consulenza finanziaria è un tema di grande attualità e interesse ma non semplice da affrontare, con particolare riferimento alla gestione dei portafogli di clientela di fascia alta. Per analizzare un tema cosi complesso e comprendere le caratteristiche distintive dei modelli di servizio della consulenza sviluppati dagli intermediari finanziari, occorre valutare gli elementi che lo compongono.
La consulenza finanziaria è un tema di grande attualità e interesse ma non semplice da affrontare, con particolare riferimento alla gestione dei portafogli di clientela di fascia alta. Per analizzare un tema cosi complesso e comprendere le caratteristiche distintive dei modelli di servizio della consulenza sviluppati dagli intermediari finanziari, occorre valutare gli elementi che lo compongono.
Il primo elemento da considerare è sicuramente l’oggetto del servizio di consulenza, costituito da due componenti distinte: le raccomandazioni al cliente e le tipologie di prodotti finanziari su cui queste vengono erogate. Le raccomandazioni, possono andare dal ribilanciamento del portafoglio, alle singole operazioni di acquisto/vendita titoli, all’allocazione e switch tra linee di gestione, alle proposte connesse a flussi finanziari, alla sottoscrizione di strumenti previdenziali. Relativamente alle tipologie di strumenti finanziari in consulenza, nei modelli più elementari sono compresi solo i fondi, mentre in quelli più evoluti sono coperti anche titoli, Etf, derivati, prodotti assicurativi…Il secondo elemento sostanziale da considerare per valutare il livello di completezza del servizio offerto al cliente, è il perimetro inteso come la numerosità-ampiezza dei rapporti considerati. A questo proposito si va dal singolo rapporto di conto all’aggregato di più rapporti, fino ad arrivare a comprendere anche il portafoglio detenuto presso istituti terzi consolidando così tutti i rapporti che compongono l’intero patrimonio finanziario del cliente.
Il terzo elemento sostanziale è il processo la cui analisi, nelle sue singole fasi, permette di capire come le diverse figure professionali e i relativi modelli di business siano concretamente in competizione sul mercato. Se si prende la Mifid come punto di partenza, vale la pena considerare che ciò che il nuovo quadro regolamentare persegue è una maggiore competitività del sistema mobiliare facendo leva sulle condizioni operative per la prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori, sui requisiti di organizzazione per le imprese di investimento e sui requisiti di comunicazione e trasparenza delle operazioni.
Dal recepimento della direttiva Mifid, la consulenza e la gestione di portafogli vengono distinti chiaramente dai servizi semplicemente “esecutivi” (collocamento, negoziazione in conto proprio, esecuzione, ricezione e trasmissione di ordini) e sono definiti servizi “a valore aggiunto”, per i quali è previsto un sistema di tutele fondato su una valutazione di piena adeguatezza fra il profilo del cliente e le caratteristiche degli strumenti finanziari o dei servizi di investimento oggetto di raccomandazione. La personalizzazione è quindi divenuta uno degli elementi centrali che caratterizza il servizio di consulenza e si fonda sull’obbligo di presentare le raccomandazioni aventi ad oggetto una o più operazioni in strumenti finanziari come “adatte” al cliente, ossia basate sulle caratteristiche del cliente stesso.
In questa ottica, le fasi che rendono un processo di consulenza completo partono dalla profilazione del cliente, passano attraverso la procedura per la raccomandazione al cliente, e arrivano a quelle che abbiamo voluto chiamare distribuzione e monitoraggio nel tempo.
La prima fase è quella della profilazione, in cui si attribuisce ai clienti un profilo di rischio/rendimento. A tale proposito i consulenti finanziari devono conoscere i propri clienti in modo approfondito, per poter essere in grado di valutare, nel tempo l’adeguatezza delle raccomandazioni. Inoltre, per definire un reale profilo di rischio sulla base dei tre driver di analisi suggeriti dalla normativa non è sufficiente sottoporre al cliente il questionario di autoprofilazione, perché spesso, chi risponde, si comporta in modo incoerente nelle reali decisioni di investimento. Per questo è fondamentale la conoscenza approfondita del cliente da parte del consulente che non può omettere la valutazione di adeguatezza della singola operazione nemmeno in presenza di una richiesta e/o autorizzazione da parte del cliente stesso.
La seconda fase è quella in cui vengono prodotte le raccomandazioni. Nella maggior parte dei casi, parte dall’analisi degli scenari di mercato con il supporto di strategist dedicati, passa attraverso la creazione di portafogli modello da parte del team di advisory e si conclude con la personalizzazione di questi portafogli concordata dal consulente con il singolo cliente. Per quanto riguarda la distribuzione del servizio di consulenza, nella maggior parte dei casi le strutture di private banking hanno deciso di mantenere il private banker come unico soggetto preposto a incontrare i clienti. La possibilità di far intervenire anche l’ufficio advisory in fase di distribuzione è prevista solo in quelle strutture che hanno attuato un processo evoluto di segmentazione della clientela.
La reportistica, infine, è protagonista di uno dei primi e indispensabili upgrade apportati dal servizio di consulenza “evoluta”, anche allo scopo di creare discontinuità rispetto al servizio di consulenza base abitualmente gratuito e per fare percepire al cliente il valore aggiunto di un servizio a pagamento. Al di là delle scelte in termini di contenuto della reportistica, si è notato che nella maggior parte dei casi le raccomandazioni vengono fornite al cliente proprio attraverso di essa.
Se le premessa attuali verranno confermate, la Mifid 2 avrà probabilmente un forte impatto su questa ultima fase del processo, soprattutto in termini di monitoraggio dell’andamento del portafoglio nel tempo e di servizio post vendita. Per questo motivo riteniamo che i sistemi di alert, attualmente ancora poco utilizzati, vedranno un notevole sviluppo.
Incrociando tutte le variabili citate, abbiamo identificato ad oggi 38 diversi modelli di servizio progettati dai 25 istituti di private banking presi in esame, che possono essere sommariamente raggruppati in tre livelli di servizio, da noi definiti consulenza base, consulenza evoluta e consulenza top, a cui corrispondono tre livelli crescenti di sofisticazione, e quindi di costo per il cliente. Il numero elevato di modelli non deve stupire, perché alcuni operatori hanno scelto di prevedere più livelli di servizio tra i quali il cliente può scegliere in base alla proprie esigenze e alla propria personale elasticità al prezzo. Proprio in merito al prezzo, abbiamo potuto verificare come i player presenti sul mercato stiano progettando, alcuni, e realizzando, altri, il proprio modello di offerta alla clientela sulla base dell’importanza relativa della consulenza rispetto al business (con evidenti differenze di approccio nel caso di una banca commerciale, di una banca private, di una rete di consulenti (ex-promotori) o di Sim di consulenza) e tenendo conto delle caratteristiche della clientela in termini di dimensione media del portafoglio e del livello di sofisticazione e di cultura finanziaria. Ma questa è tutta un’altra storia.