Complimenti a Domenico Siniscalco.
Il presidente di Assogestioni ha portato a casa quella riforma fiscale dei fondi comuni che il mercato e gli operatori aspettavano da anni.
Complimenti a Domenico Siniscalco. Il presidente di Assogestioni ha portato a casa quella riforma fiscale dei fondi comuni che il mercato e gli operatori aspettavano da anni.La tassazione sugli Oicr che prevede che l’imposta sulla plusvalenza si pagherà al momento del disinvestimento e non, come finora, sui guadagni realizzati giorno per giorno sblocca il credito d’imposta maturato fino a ieri, e pari alla bellezza di circa 4 miliardi di euro, che aveva sia penalizzato le performance dei money manager tricolori sia spinto le società di gestione nazionale a emigrare. Complimenti a Siniscalco perché il professore ha incassato un risultato importante che si deve per larga parte al suo lungo e consolidato rapporto col ministro dell’economia Giulio Tremonti, non a caso presente all’apertura del Salone del Risparmio organizzato da Assogestioni a Milano dal 6 all’8 aprile.
Ma da tutto ciò a dire che i fondi italiani sono salvi, ce ne passa. E ce ne passa pure per i consulenti e i consulenti finanziari (ex-promotori finanziari) che sono chiamati a distribuire i prodotti del risparmio gestito. Quello che si può dire fin d’ora è che da oggi i gestori italiani non avranno più l’alibi fiscale per giustificare le loro performance spesso inferiori - e talora di gran lunga - a quelle conseguite dai colleghi stranieri. Se si esaminano infatti gli ultimi sei anni, dal 2005 al 2010, si scopre che la performance media relativa a 503 fondi di diritto italiano è stata dello 0,009% rispetto al +0,668% medio registrato da 7.021 fondi di diritto estero. Dopo le severe analisi condotte negli scorsi anni dall’Ufficio Studi di Mediobanca, peraltro, i gestori di fondi italiani hanno da poco un’altra bestia nera, la Banca d’Italia.
Un working paper di Via Nazionale, infatti, redatto da Michele Leonardo Bianchi e Maria Grazia Miele mette sul banco degli imputati i deludenti risultati dei fondi comuni aperti nazionali ma ne critica anche il modello di business che prevede livelli elevati di retrocessioni alle reti distributive, spesso controllate dal gruppo bancario o assicurativo che è la “fabbrica” dei prodotti. L’analisi è stata condotta su dati mensili relativi al periodo dal luglio 2003 al dicembre 2008, utilizzando un panel composto da 2.288 fondi e sicav di diritto italiano ed estero. Il ricorso alle segnalazioni di vigilanza ha permesso di confrontare i rendimenti con gli effettivi benchmark dichiarati nei regolamenti e non, come di consueto avviene, con benchmark standard o di mercato. Le conclusioni dell’analisi sono a dir poco sconfortanti: i risultati dei singoli fondi confermano ciò che più volte ha osservato l’Ufficio Studi di Mediobanca e cioè che essi non riescono in media a conseguire rendimenti superiori ai benchmark di riferimento. E tuttavia Bianchi e Miele osservano poi che dal 2006 al 2008 le SGR più grandi hanno retrocesso alla rete distributiva (spesso, come si diceva, controllata) commissioni, in percentuale del patrimonio netto gestito, maggiori rispetto a quelle minori o indipendenti: rispettivamente l’1% contro lo 0,7%. “Al netto degli effetti causati dalla diversa composizione dei portafogli gestiti dalla SGR - conclude lo studio - ciò potrebbe indicare che i possibili vantaggi derivanti dalla dimensione della SGR non si trasferiscono all’utente finale ma vengono trattenuti, con una sorta di mark-up, dal soggetto controllante”.
Un warning significativo proprio mentre si sta ragionando sul maxipolo tricolore del risparmio gestito che nascerebbe fra Intesa e UniCredit dalla fusione tra Eurizon e Pioneer.
Articolo tratto dal numero di aprile di ADVISOR
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