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I consulenti e i rischi del riciclaggio

3/11/2011 | Giuseppe G. Santorsola

La persona fisica è responsabile in proprio di fattispecie legate al riciclaggio. L’evoluzione della normativa ha introdotto fattori qualitativi e valutativi la cui assenza o carenza si riflette in conseguenze civili e penali. Non si tratta di segnalare versamenti, prelievi e riscatti superiori a soglie o incongrui, oppure comportamenti elusivi, quanto di individuare...



Uno dei principali sindacati bancari italiani ha organizzato un convegno sul contrasto del riciclaggio. Una sua sezione (in associazione con altre due sigle) è dedicata a consulenti (ex-promotori) e consulenti finanziari dipendenti della banca. È opportuno allertare il lettore verso i rischi di una scarsa conoscenza in merito ai doveri in materia. La persona fisica è responsabile in proprio di fattispecie legate al riciclaggio. L’evoluzione della normativa ha introdotto fattori qualitativi e valutativi la cui assenza o carenza si riflette in conseguenze civili e penali. Non si tratta di segnalare versamenti, prelievi e riscatti superiori a soglie o incongrui, oppure comportamenti elusivi, quanto di individuare operazioni sospette, comportamenti non lineari e identificare il titolare effettivo delle operazioni richieste tramite terzi, rifiutate o attuate. Non effettuare in tutto o in parte operazioni non esclude il dovere di segnalazione.

 

La fattispecie è regolata dal D.Lgs 231/2007, poi modificato. Esiste un crescente legame di queste norme con quelle previste nel decreto 231/2001, sulla responsabilità amministrativa delle imprese verso comportamenti compiuti per il loro tramite.
Un’azienda deve progettare e comunicare un modello organizzativo idoneo a impedire reati. Banche e intermediari debbono provvedere ad assetti e regole che impediscano o individuino comportamenti delittuosi di singoli per il loro tramite. L’ho definita una 231 al quadrato. Se le aziende debbono provvedere al circuito organizzativo, gli operatori (compresi quelli non “legati” come i consulenti) debbono accettare i controlli che conseguono al modello e alle regole. Essi costituiscono ausilio per rendere coesa la controparte di chi volesse compiere reati di riciclaggio. In molti ambiti questo profilo è certamente debole e ciò è ben noto a chi ha intenti irregolari; basti pensare ai settori immobiliare, dei mercanti d’arte, della gioielleria o delle case da gioco. Il moderno criminale è oggi operativo soprattutto nelle aree geografiche meno abituate, e con gli intermediari meno coinvolti in passato.

 

Lo stesso decalogo proposto dalla Banca d’Italia è definito tra gli esperti come un “Centalogo” illustrando 121 fattispecie possibili di comportamenti sospetti, a dimostrazione di continua rincorsa fra tutela giuridica e tentativi di eluderla.
Sotto un altro profilo il consulente è veicolo di potenziale pericoloso interesse per il riciclatore in quanto potrebbe stimarne un minor assetto di valutazione e controllo. Il reato di riciclaggio (art. 648bis e 648ter codice penale) è parallelo a quello della ricettazione (art. 648), per cui il consulente che favorisse clienti che richiedono l’investimento di somme di provenienza illecita o che non individuassero il “titolare effettivo”, si comporterebbero come i ricettatori disposti a ritirare beni in cambio di denaro.
Tuttavia, anche se, le verifiche di antiriciclaggio sono di competenza degli intermediari finanziari operativi sui prodotti e servizi, consulenti e mediatori, svolgono un ruolo rilevante nella relazione, al punto da risultare determinanti nelle soluzioni adottate. Su di loro grava l’onere di vedersi applicata la normativa in oggetto. Il dettaglio delle norma è impreciso poiché le diverse versioni succedutesi dal 1991 hanno regolato l’intermediario finale più di quelli che partecipano al processo in fasi diverse.

 

Non possiamo sottacere l’interesse economico del consulente verso i capitali per i quali si chiede il loro intervento; le regole sono necessarie per rendere sensibile il soggetto verso il rischio reputazionale del coinvolgimento nel riciclaggio di denaro proveniente da attività non regolari quando non da gravi reati. Resta poi l’irrisolto problema dell’evasione fiscale, un reato percepito come secondario, mentre invece è fonte di capitali dedicati anche per il tramite dei consulenti finanziari. Al di la di altre valutazioni, è difficile immaginare una capacità indagativa del consulente, quanto invece una corretta mappatura del cliente secondo i criteri regolamentari in vigore.

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