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Non basta la parola

3/3/2011 | Andrea Giacobino

Dipendenti o indipendenti? Venditori o consulenti? Il dilemma degli advisor finanziari, consulenti (ex-promotori) in testa, sembra essere tutto qui.


Un dilemma che pesa non poco sia sul futuro della professione sia sull’evoluzione della figura del consulente costretto a navigare tra lo Scilla dell’essere legato contrattualmente a una società mandante e il Cariddi dell’essere libero da vincoli e quindi poco controllabile. Una cosa è certa, fin d’ora: non basterà aggiungere alla propria qualifica l’aggettivo di “indipendente” per garantire autorevolezza delle competenze e qualità del servizio reso al cliente. Né sarà sufficiente far nascere un albo degli indipendenti per assicurarne la professionalità sia nei confronti degli utenti, sia verso le istituzioni. L’indipendenza non è un titolo da comprare e di cui adornarsi, ma una conquista che si raggiunge tutti i giorni sul campo del rapporto con la clientela. Altrettanto certo è che l’indipendenza si articola, anzitutto, nella capacità di scegliere fra i prodotti che giungono dalla casa mandante, con tanto di pressione della direzione marketing, e gli strumenti cosiddetti “di terzi”.

Negli ultimo anni sono aumentati i fattori che favoriscono l’apertura delle reti distributive al collocamento di strumenti di terzi. Sopratutto l’arrivo della Mifid, che passando dalla logica del prodotto a quella del servizio, obbliga l’intermediario a migliorare la qualità del suo lavoro proprio con la abilità di selezionare le migliori offerte presenti sul mercato. Fino al 2007 le gpf retail si distinguevano per una prevalenza dei fondi del gruppo, pur a fronte di una diminuzione del peso di tale componente sul totale. Con l’entrata in vigore della direttiva e la crisi finanziaria globale, le gpf retail nel biennio 2007-2008 sono crollate da 114 miliardi di euro ad appena 37 miliardi. Ne sono risultate fortemente ridimensionate sia la componente in fondi del gruppo sia quella in fondi di terzi e titoli. Tuttavia i fondi di terzi in queste gestioni segnano oggi un controvalore di 10 miliardi: somma contenuta, ma significativa se rapportata alle masse gestite, visto che ne rappresenta il 28%. Più stabile nelle politiche di offerta degli advisor è stato il ruolo giocato dalle gestioni patrimoniali in titoli, rimaste negli ultimi anni attorno agli 80 miliardi. In queste più del 25% del patrimonio è allocato in quote di fondi comuni, con un ruolo crescente di quelli di terzi, pari a 8,5 miliardi, il 10% del totale.
 
La propensione all’inserimento di prodotti di terzi non è identico per tute le tipologie di operatori. Nel comparto delle gpf retail, ad esempio, i fondi “di casa” rappresentano ancora la componente principale per tutti gli intermediari con quote vicine o superiori al 70%, ma le incidenza scende sotto al 60% per le assicurazioni, le reti di consulenti (ex-promotori) finanziarti i gruppi bancari di piccola e media dimensione, dove invece i prodotti di terzi eguagliano o superano il peso dei fondi del gruppo. Nel comparto delle gpm retail, invece, i fondi di terzi sono più presenti nell’offerta bancaria (10% circa delle masse) per istituti grandi, medi e piccoli. E tuttavia viene confermato il trend di apertura ai prodotti di terzi da parte delle reti di consulenti (ex-promotori). Tra il 2005 e il 2009, infatti, le reti aprono l’offerta a fondi non di casa in quasi tutte le tipologie dei prodotti gestiti e assicurativi. Nello specifico il peso della componente di terzi nel settore del risparmio gestito è passato dal 15,3% del 2005 al 29,2% nel 2009, grazie sopratutto alla maggiore diversificazione dell’offerta nel comparto dei fondi esteri, lievitata dal 25% al 42% nel quinquennio. L’apertura ai prodotti di terzi è ancora più eclatante se si passa ad esaminare l’evoluzione congiunturale più recente relativa ai flussi intermediati in fondi esteri: nel primo semestre del 2010, infatti, su 9,3 miliardi di euro raccolti in fondi di diritto estero, ben il 60% è stato intermediato in prodotti di terzi, superando quindi i flussi di fondi propri. Il percorso, quindi, è avviato e la strada è segnata. Il trend di apertura della distribuzione al collocamento di prodotti delle case di gestione internazionali è un processo irreversibile che l’advisor deve conoscere e interpretare, ma saper anche gestire al meglio. Anche alla luce di due circostanze: la progressiva concentrazione dell’offerta dei servizi di gestione del risparmio sulle fasce alte della clientela, con la proposizione di servizi a maggior valore aggiunto e la selezione delle migliori offerte sul mercato; senza dimenticare la difficoltà a presidiare direttamente con prodotti adeguati tutte le asset class, in uno scenario finanziario più complesso e volatile. Ecco perché l’advisor “indipendente” non è come quel confetto di cui si diceva: “basta la parola”.
 
Articolo tratto dal mensile ADVISOR, numero di Marzo 2011

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