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7/20/2022 | Redazione Private
Durante il primo semestre del 2022, il settore italiano del Private Equity ha confermato un trend sostanzialmente positivo, in linea con i dati osservati nei semestri precedenti. Tuttavia, i rischi di inflazione, determinati dall’aumento prezzi dell'energia e delle materie prime, le interruzioni della supply chain e il conflitto russo-ucraino sollevano i dubbi degli operatori sulla stabilità del contesto macroeconomico, determinando aspettative più prudenti.
Nonostante una leggera diminuzione dei deal rispetto al semestre passato (210 vs 241), il numero di operazioni concluse in Italia durante la prima metà del 2022 si attesta ad un valore più alto rispetto allo stesso periodo dell’anno passato (191). Più della metà degli operatori intervistati ritiene che nel futuro prossimo il settore manterrà i livelli osservati durante il primo semestre 2022, testimoniando una solida fiducia nell’andamento dell’ecosistema imprenditoriale italiano.
A testimoniare ciò, il Deloitte PE Confidence Index per il primo semestre del 2022, sulla base dei dati raccolti nelle PE Survey condotte dalla prima edizione ad oggi, si assesta su un valore di 105 punti a cui corrisponde un numero di deal atteso pari a 194. È questo il quadro del settore che emerge dal report semestrale Private Equity Confidence Survey di Deloitte Private, elaborato con il supporto di AIFI (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt).
“Il primo semestre del 2022 conferma in buona parte le aspettative positive espresse dagli operatori all’inizio dell’anno, la grande disponibilità di liquidità e le dinamiche di digitalizzazione continuano infatti a trainare il mercato del Private Equity in Italia, che vede 210 operazioni nei sei mesi appena conclusi. Nonostante ciò, però, in termini di aspettative per la seconda parte del 2022, gli operatori si dimostrano più conservativi, influenzati da un panorama macroeconomico e geopolitico più incerto, inasprito dallo scoppio del conflitto russo – ucraino, dall’aumento dell’inflazione e dalle interruzioni delle supply chain globali” – dichiara Elio Milantoni, Head of Deloitte Corporate Finance Advisory. “Nonostante la presenza di criticità più marcate rispetto al passato più recente, i fenomeni trasformativi in atto in Italia, ma anche a livello globale, continuano comunque in maniera dirompente, accelerati dai fondi messi a disposizione da programmi mirati al sostegno della crescita economica, quali NextGenerationEU e PNRR”.
L’aumento dei tassi di interesse segna un cambiamento nella struttura dei deal – ma la liquidità non manca
A seguito di un aumento a livello globale dei tassi di interesse, gli operatori comunicano l’inversione di un trend visto fino a questo momento, che prediligeva livelli di debito alti e porzioni di equity più ridotte, tornando a preferire livelli di leva più bassi e strutture dei deal meno rischiose. È già tangibile, infatti, l’effetto di queste politiche sulle scelte degli operatori, che, vedendo uno spread medio sul Euribor ormai superiore ai 250bp sui pacchetti finanziari richiesti per le proprie transazioni, dichiara di preferire principalmente il ricorso al meno dispendioso Senior debt (più dell’80% delle risposte), a discapito di strumenti di Junior debt, Shareholders loan, e Mezzanine financing.
Emerge inoltre dalle risposte raccolte, che, proprio in seguito a queste misure, il 41,3% degli intervistati aumenterà, rispetto al passato, l’uso di Deferred consideration mechanisms, mentre il 32,6% vede un maggior utilizzo di Covenant più stringenti e/o aggiuntivi nel futuro prossimo. In termini di leva finanziaria utilizzata nelle transazioni nel primo semestre del 2022, gli operatori che hanno sfruttato livelli superiori al 4x sono l’8,7%, contro il 14,1% del semestre precedente. Parallelamente, negli ultimi sei mesi, il 41,3% degli operatori ha preferito utilizzare livelli di equity superiori al 61%, dimostrando un approccio più conservativo, soprattutto se confrontato con il semestre precedente, quando solo il 29,8% seguiva questa opzione.
La grande disponibilità liquida all’interno dell’economia italiana, supportata da nuovi round di fundraising degli investitori finanziari (programmati dal 56,5% degli intervistati nel secondo semestre 2022) e dai fondi messi a disposizione da PNRR e NextGenerationEU, permetterà comunque il mantenimento di un alto numero di investimenti nella seconda parte dell’anno, con maggiore attenzione però alla gestione delle società presenti nel portafoglio, mirata a minimizzare l’erosione dei ritorni potenzialmente innescata da livelli di leva minori. PPPPPPPPPPP Diminuzione dei multipli di mercato e rallentamento dei disinvestimenti - L’IPO sparisce dalle opzioni di exitPPPPPPPPPPPP Dopo due anni record a livello di crescita dei multipli di mercato, l’analisi delle aspettative relative alle valutazioni medie di settore vede un ritorno a livelli pre-pandemici, con circa il 70% degli operatori che prevede una diminuzione di questi valori compresa tra lo 0% e il -20%. Come diretta conseguenza di queste aspettative, che richiamano moderazione nelle valutazioni future delle società italianane, le previsioni degli operatori in merito alle attività di disinvestimento durante il prossimo semestre vedono un rallentamento, con il 58,7% che non si aspetta sostanziali cambiamenti nel numero di exit, contro il 29,8% del semestre passato, e il 26,1% che ne prevede invece una diminuzione.
Solo il 15,2% crede che i disinvestimenti aumenteranno nella seconda parte del 2022, testimoniando un trend che vede un aumento dell’holding period medio, e implicando un ulteriore spostamento degli investitori finanziari verso strategie long-term, già comunque predilette da un sostanziale numero di player focalizzati su piani di aggregazione industriale.
Ulteriore fattore concorrente alla diminuzione di interesse nei confronti di attività di exit, è l’attuale riluttanza degli investitori ad intraprendere uscite sui mercati pubblici. Nessun operatore intervistato vede infatti nell’immediato futuro disinvestimenti tramite IPO, contro il 10,5% dei rispondenti del semestre passato. Le turbolenze macroeconomiche che hanno portato a forti correzioni nei mercati pubblici globali hanno sicuramente rallentato questo fenomeno, già comunque poco prediletti nel mercato italiano, spingendo gli operatori a preferire opzioni di Trade sale (54,3% delle risposte), e Secondary Buy Out (34,8%).
“Insieme ad uno scenario più incerto, la prima parte del 2022 vede anche un cambiamento delle politiche monetarie adottate dalle banche centrali. Il rialzo dei tassi di interesse modifica l’approccio degli investitori finanziari alle operazioni, senza necessariamente rallentarne l’attività, ma anzi incrementando fenomeni già in atto, come quello di un approccio strategico focalizzato sul lungo termine e sull’aggregazione industriale, che in Italia, più che in ogni altro paese europeo, trova terreno fertile” - dichiara Elio Milantoni; “è importante inoltre notare come, se confrontato con alternative di investimento tradizionali, il mercato del Private Equity continua a mostrare ritorni relativi molto importanti, attraendo sempre più liquidità e alimentando un circolo virtuoso che già da diversi anni rappresenta uno dei motori fondamentali per la crescita del tessuto economico del nostro paese”.
Industrial products, Food and beverage, Consumer goods, ICT, e Healthcare si dimostrano nuovamente i settori verso cui gli operatori mostrano maggiore interesse
Secondo la survey di Deloitte Private, viene confermato un ulteriore aumento dell’interesse da parte degli operatori di Private Equity italiani nei confronti dei settori Industrial products, Consumer goods, ICT, e Healthcare and social services, i quali registrano aspettative in rialzo in termini di investimenti durante il secondo semestre dei 2022. Cala invece leggermente l’interesse nei confronti di Pharmaceutical and biopharmaceutical industry e Leisure. Si conferma forte anche l’interesse nei confronti di operazioni di maggioranza, con l’82,6% degli operatori che dichiara l’intenzione di focalizzarsi su questa tipologia di deal durante il prossimo semestre, in crescita di 8,9 p.p. rispetto alla passata edizione. Per quanto riguarda la tipologia di operazioni, rimane predominante la scelta di LBO/Replacement (32,6%), mentre notiamo un forte calo, di 9,9 p.p., nei confronti di operazioni di Expansion Capital, le quali raggiungono il 19,6% delle preferenze. Aumentano invece le transazioni completate tramite Supporto a MBO/MBI, che crescono a 32,6%, rispetto a 23,2% del semestre precedente.
In termini geografici, infine, le preferenze degli investitori confermano il Nord Italia come area prediletta per le operazioni, con l’84,8% degli operatori che hanno concentrato le proprie attività di investimento tra il Nord Est e il Nord Ovest durante il primo semestre. Sale però al 10,9% l’interesse nei confronti di Centro, Sud e Isole, il livello più alto registrato dal primo semestre del 2019, dimostrando il crescente riconoscimento da parte degli investitori finanziari delle potenzialità di un tessuto imprenditoriale storicamente considerato meno attrattivo.
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