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WMC24: alla ricerca di un nuovo modello di team

10/29/2024 | Redazione ADVISOR

All'ottava edizione della Wealth Management Conference si è guardato al futuro individuando come l'industria possa rispondere alle nuove ed emergenti esigenze dei clienti.


Un'industria sana e forte che macina risultati ma che non deve perdere di vista le sfide del futuro. Sono queste le evidenze emerse nel corso dell'ottava edizione della Wealth Management Conference 2024, intitolata “Stairway to Wealth”. 

Se oggi così come evidenziato recentemente da AIPB l'industria può contare su masse pari a 1.196 miliardi, già oltre il target di previsione per l'anno in corso. Un risultato frutto di un modello di servizio distintivo e di successo, fondato sulla consulenza professionale e la centralità del banker, come testimonia la raccolta netta in forte aumento. Ma entrando nel dettaglio del servizio ai clienti, e in particolare nel tema della strategia di investimento che viene oggi proposta alla clientela private. In un contesto particolarmente complesso, volatile e incerto, anche a causa delle numerose variabili geopolitiche, quali sono le azioni di ribilanciamento dei portafogli individuate dai player del settore? 

“Il 2024 è stato un anno estremamente positivo per industria e i clienti” ha esordito Andrea Ragaini (AIPB), “anche grazie a un importante allargamento del perimetro della nostra azione, grazie all’ingresso di soggetti primari come ad esempio Mediobanca Premier”. 
Nel ricordare l’Outlook 2025 di AIPB il presidente dell’Associazione ha poi menzionato i punti fermi del suo mandato: l’irrobustimento dell’industria, l’aumento della componente assicurativa nei portafogli, un più maturo utilizzo delle tecnologie, un’accelerazione nell’inserimento di banker giovani e, anticipando per la prima volta il quinto obiettivo di AIPB, cui sarà dedicato il suo annuale Forum di novembre, “spostare il private banking da una logica di preservazione dei patrimoni a una strategia di crescita economica, a supporto del Paese”.

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Ma come si può accompagnare il cliente verso un’allocazione della ricchezza che crei valore nel tempo? Per Luca Giorgi (BlackRock) il beta è diventato imprescindibile in una gestione e non si può togliere dai portafogli, soprattutto se si rimane investiti nel lungo termine. Secondo Giorgi le dicotomie tra etf e fondi (così come quelle tra beta e alfa) sono ormai superate da tempo. I classici fondi basati sui fondamentali rischiano ora di essere spacchettati e assorbiti parte dagli etf (quelli che non performano molto) parte dalle strategie high conviction (che tuttavia non possono crescere troppo, pena l’impossibilità di continuare a fare performance), ma ora anche dalle gestioni sistematiche. Che è la somma di uomo e macchina. 
“Nei portafogli tra cinque anni accanto a ETF e strumenti basati sui fondamentali avranno il loro spazio anche gli alternativi e i sistematici – conclude Giorgi – L’alpha si trasforma da obiettivo ambizioso a fondamento stabile”.

E in questa trasformazione dell'industria i real asset rivestiranno un ruolo focale. Questo perché secondo Filippo Tersalvi (Nuveen) i real asset portano dei benefici nel portafoglio degli investitori, ad esempio proteggono dall'inflazione, a parità di rendimento sono meno volatili e sono una fonte di satbilità. Anche se erroneamente si è sempre abituati a pensare che i real asset sia esclusivamente legati al mondo immobiliare, mentre sono espressioni di diversi “tasselli” come li ha definiti l'esperto di Nuveen, dal mondo delle infrastrutture a quello dei terreni boschivi. Senza dimenticare che non esistono solo i mercati privati, ma anche quelli pubblici. 

Se quindi nel futuro avremo un panorama così variegato, per Giordano Lombardo (Plenisfer Investments SGR) il vero tema è mettere assieme queste asset class. Per l'esperto della società dell'eco sistema Generali non dobbiamo dimenticare che ci sono stati 40 anni di bull market, ma oggi lo scenario che ci troviamo di fronte è completamente diverso e richiede a suo avviso un po' di coraggio oltre che le fantasia per andare a scovare delle vere opportunità di mercato davvero performanti, come quelle che sono state premianti per il suo gruppo (esposizioni su uranio, oro ecc..). Il pensare un po' fuori dagli schemi che può essere un approccio premiante nel lungo termine.

E nonostante l'attenzione al lungo termine, anche nel breve ci sono delle implicazioni che potrebbero avere degli effetti determinanti sui mercati finanziari. È il caso delle elezioni USA alle quali Fabrizio Maronta (Limes) ha dedicato un approfondimento speciale. Per l'esperto “Questo voto ci dice soprattutto quanto divisa sia l’America, e come sia in qualche modo in crisi di vocazione. È un paese che si chiede quanto la sua leadership non abbia imboccato una parabola discendente, e gli alleati si trovano quindi di fronte alla scelta di doversi schierare da una parte o dall’altra. In prospettiva il confronto più denso di conseguenze è quello con la Cina, qualcosa che non verrà sovvertito con le prossime elezioni se non per quanto riguarda la tattica con cui verrà affrontato”.

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Per Mario Unali (Kairos Partners SGR) la FED è molto proattiva, e cerca di scongiurare  una recessione ma non mancano le preoccupazioni per il 2025. “Nel caso di una vittoria di misura di uno dei due candidati alla presidenza, ci aspettiamo che non ci sarà una politica fiscale troppo aggressiva proprio per il consenso limitato. Se ci fosse invece una vittoria con un consenso molto ampio, potrebbe esserci una politica fiscale più lasca con i rischi di un ritorno dell’inflazione”.

Ed è proprio nei periodi di estrema incertezza e volatilità sui mercati che le conversazioni con i clienti possono diventare difficile. 

“Abbiamo due orecchie ma una sola bocca, quindi il messaggio è che dobbiamo ascoltare più di quanto parliamo” spiega scherzosamente Matteo Astolfi (Capital Group) “E infatti un ottimo consulente è quello che è in grado di ascoltare bene quelle che sono le esigenze e le paure del cliente prima di spiegare la propria view”. 
Ma il consulente che opera come battitore libero sta ormai diventando più raro. È fondamentale avere un team. Astolfi ricorda alla platea, presentando una ricerca di Capital Group, che negli ultimi 15 anni (fino al 2022) dei 290mila consulenti americani, la percentuale di quelli che lavoravano in team è passata dal 15 al 32%. In pratica un consulente su tre non opera più da solo. Le tipologie sono varie, dal team verticale (un consulente senior, un junior un assistente ai clienti e una persona in segretaria) a quello orizzontale (consulenti dedicati a previdenza, fiscale e pluri generazionale), per finire con il team olistico o ibrido (fatto sia da parte orizzontale e da parte verticale).

E anche in Italia ci sono degli esempi di organizzazione che stanno mutuando il modello in team, ma perlopiù verticale. 

“Il wealth management non è uno sport individuale. Vince sempre il team” afferma netta Cristiana Fiorini (Intesa Sanpaolo Private Banking). “Ormai non si affrontano più tematiche soltanto finanziarie ma problematiche talmente ampie che strutturarsi con team multidisciplinari è per forza il modello vincente”. 
“In ISPB siamo organizzati con centri private e centri high-net e, al crescere delle complessità, è sempre più presente l’affiancamento dei professionisti della direzione centrale” prosegue la responsabile della prima società di private banking italiana per masse. “Questo è il modello ibrido ed esiste già oggi. La sfida sarebbe semmai il passaggio verso team realmente orizzontali, con un portafoglio unico, non più legato al singolo banker e con una figura di leader che non sia superiore a livello gerarchico”.

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“Il modello di team è molto diverso se parliamo di consulenti finanziari o di wealth manager dipendenti” interviene Fabrizio Greco (Gruppo BPER). “I liberi professionisti mandatari sono più pronti ad acquisire la nuova mentalità di condivisione in team, vivendo la professione come un’azienda personale. Mi sembra un modello più difficile se penso a quelli che oggi sono banker dipendenti, quelli che nel nostro gruppo abbiamo riunito sotto il brand Cesare Ponti: per come è strutturato oggi il private banking italiano è impensabile che una gran parte dei professionisti possa passare in tempi brevi a un modello sbilanciato sul team; siamo ben lontano dal 30% di banker già raggiunto da alcune banche private ad esempio negli Stati Uniti”.

Per questo bisogna pensare a nuovi modelli e contestualizzarsi al contesto, alla struttura e alla realtà, nonché alle esigenze dei clienti e della multi-generazione che si andrà a servire.

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