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8/28/2024 | Redazione ADVISOR
“L’industria del private equity è stata protagonista di una crescita formidabile negli ultimi due decenni e ha letteralmente cambiato la natura del mercato: sempre più imprese decidono di restare private, rinviare la quotazione o evitarla del tutto, rivolgendosi all’industria del private equity”. Matteo Ramenghi, chief investment officer di UBS WM Italy, UBS Europe SE, succursale Italia, ricorda che “tra il 2000 e il 2023 il numero di imprese con private equity nel capitale è cresciuto di sei volte. Probabilmente una parte del valore aziendale che confluiva nei mercati pubblici si trova oggi in quelli privati”.
“L’inflazione - sottolinea il manager - è in discesa e le principali banche centrali hanno cominciato o si stanno preparando a tagliare i tassi d’interesse. Queste aspettative sono state uno dei fattori che hanno sostenuto i mercati azionari da inizio anno e, al netto di alcune fasi di volatilità, i listini hanno superato agilmente la correzione del 2022. Invece, l’industria del private equity si sta ancora adattando agli elevati tassi d’interesse, principalmente a causa delle valutazioni dei patrimoni (net asset value, NAV) che non erano scese rapidamente come il mercato azionario nel 2022. Infatti, le modalità di valutazione degli investimenti portano a comportamenti diversi: la borsa riflette ciò che potrebbe accadere tra qualche mese, mentre il NAV di un fondo di private equity si muove più lentamente riflettendo il recente passato”.
Inoltre, “il minor numero di transazioni e la grande quantità di capitale ancora da investire (stimato da S&P Global Market Intelligence in 2600 miliardi di dollari a fine 2023) hanno portato a una competizione agguerrita per accaparrarsi le aziende in vendita, talvolta a prezzi e multipli superiori a quelli del mercato azionario. La diminuzione del numero di operazioni si osserva anche nella fase di realizzo degli investimenti. Secondo Bain & Co., il valore delle operazioni di cessione da parte del private equity è diminuito del 44% nel 2023, toccando il minimo da un decennio. Sebbene ci aspettiamo diversi tagli dei tassi d’interesse quest’anno, i costi di finanziamento per i fondi di private equity rimarranno alti, anche perché il settore bancario è diventato più selettivo”.
“Alcuni gestori - precisa l’analista - stanno quindi utilizzando meno leva finanziaria e più capitale, cosa che però riduce i ritorni attesi. Tuttavia, gli ultimi dati suggeriscono che il numero di operazioni sia in accelerazione nel 2024, indicando una possibile svolta. Il primo segnale è la crescente convergenza tra le valutazioni sui mercati privati e quelli quotati. Nel campo del private equity, le valutazioni si stanno stabilizzando con multipli inferiori di quasi il 10% rispetto ai picchi del 2022 (EV/EBITDA di circa 11x). Dal punto di vista degli investitori, il private equity può aumentare la diversificazione e potenziare i rendimenti attesi. I maggiori rendimenti rispetto a un investimento in borsa sono connessi ai rischi impliciti: durata, illiquidità, maggiore concentrazione e leva finanziaria. Sono quindi investimenti da considerare come componente satellite di un portafoglio diversificato. Come per qualsiasi investimento, vale la regola della diversificazione. Conviene affidarsi a gestori diversi, tenendo in considerazione che la dispersione dei rendimenti è superiore e quindi la selezione è ancora più importante”.
Inoltre, “il concetto di diversificazione assume anche un orizzonte temporale: è consigliabile avere «vintage» diversi, cioè investimenti distribuiti su diverse annate per smussare eventuali eccessi valutativi, navigare i cicli economici, mitigare la volatilità dei rendimenti e dei flussi di cassa, nonché mantenere la dimensione dei portafogli nel tempo”.
“L’opportunità per gli investitori sofisticati - conclude Ramenghi -è di aumentare diversificazione e ritorni puntando su investimenti con un orizzonte temporale molto lungo. È quindi richiesta una programmazione costante per diversi anni per la costruzione di un portafoglio in questo ambito”.
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