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5/30/2024 | avv. Stefano Simontacchi e Giampaolo Genta (in foto)
Il trasferimento di ricchezza con causa liberale avviene talvolta ricorrendo a modalità alternative alle donazioni “formali”.
Le donazioni possono, infatti, suddividersi tra donazioni “formali” (ovvero quelle “tradizionali”, effettuate per atto pubblico), donazioni “indirette” (ovvero quelle realizzate mediante uno schema negoziale, diverso dalla donazione “formale”, che produce effetti analoghi a quest’ultima; si pensi all’accollo del debito altrui) e, infine, donazioni “informali” (che si differenziano dalle precedenti in quanto non comportano un atto scritto e consistono nel solo svolgimento di un’attività materiale o in un comportamento consapevolmente omissivo per spirito di liberalità; si pensi, tipicamente, al bonifico bancario dai genitori ai figli). Indicheremo, per sola facilità di lettura, le donazioni “indirette” e “informali” come “liberalità indirette”.
Il trattamento fiscale applicabile alle liberalità indirette ha sollevato negli anni (le relative disposizioni risalgono al 2000) rilevanti incertezze interpretative, dovute a un quadro normativo articolato e di non immediato coordinamento.
La recente sentenza di Cassazione 7442/24 ha certamente il merito di fare chiarezza (di qui, l’ampia risonanza).
Secondo la Cassazione, le liberalità indirette (anche se risultanti da atti soggetti a registrazione) sono soggette a imposta sulle donazioni solo in due ipotesi.
La prima ipotesi è quella in cui si verifichino le condizioni previste dall’art. 56 bis del Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni (TUS), ovvero:
In tal caso si applicherà sempre l’aliquota massima dell’8%.
La seconda ipotesi è quella in cui le liberalità indirette siano volontariamente registrate dal contribuente; in tal caso si applicheranno le ordinarie aliquote variabili, tra il 4% e l’8% (a seconda dell’eventuale rapporto di parentela tra “donante” e beneficiario).
La Cassazione ritiene infine che le liberalità indirette non siano comunque tassabili, anche se confessate dal contribuente ai sensi dell’art. 56-bis del TUS, decorsi 10 anni dall’avvenuta liberalità, in base all’art. 78 del testo unico dell’imposta di registro (secondo cui “il credito dell’amministrazione finanziaria per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni”).
La sentenza è particolarmente interessante e innovativa relativamente a due specifici aspetti.
Il primo riguarda le liberalità risultanti da un atto soggetto a registrazione. Si pensi, per esempio, a un patto di famiglia in cui si richiamino, per esplicitare il contesto in cui si inseriscono le pattuizioni, precedenti trasferimenti di ricchezza tra le parti del patto avvenuti senza ricorrere a donazioni formali. Secondo la sentenza in parola, il richiamo di tali liberalità indirette non implicherebbe che debbano essere soggette a tassazione. Si tratta di una conclusione non scontata in base a una lettura combinata dell’art. 1, comma 4-bis, e dell’art. 56-bis del TUS. Sebbene tale interpretazione appaia supportata dai lavori parlamentari dell’epoca, autorevole dottrina ha raggiunto in passato conclusioni discordanti al riguardo.
Il secondo aspetto rilevante è rappresentato dal termine decadenziale di 10 anni entro cui le liberalità indirette possono divenire soggette a tassazione ad esito di confessione del contribuente. Prima del chiarimento, vi erano dubbi in merito a tale aspetto. Invero la stessa Cassazione aveva in precedenza ritenuto che il termine (peraltro di 5 anni) decorresse dal momento dell’emersione della liberalità indiretta (Cassazione 13133/16). Si era quindi paventato che una liberalità indiretta avvenuta molti anni addietro (ovvero al di là di qualsiasi termine di decadenza espresso) potesse essere tassabile in caso di successiva emersione. Anche qui il contributo interpretativo della Cassazione è notevole tenuto conto che l’applicabilità del termine decadenziale di 10 anni non sembrava di immediata applicazione alle liberalità indirette.
Si tratta quindi di chiarimenti da accogliere con favore. Tuttavia, la materia e l’esperienza suggeriscono di valutarli con una certa prudenza sino a che l’orientamento della Cassazione non si sarà consolidato.
Peraltro, sembrerebbe che il legislatore delegato non abbia (almeno in base alla bozza di decreto legislativo attuativo della riforma fiscale) ritenuto necessario apportare modifiche sostanziali alle disposizioni che regolano le liberalità indirette al fine di renderne più certo il trattamento fiscale.
Le liberalità indirette pongono quindi complesse riflessioni in merito alle implicazioni fiscali e civilistiche da valutare attentamente e preventivamente con l’ausilio di professionisti.
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