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Private banking, trovare obiettivi comuni tra generazioni diverse

5/24/2024 | Daniele Barzaghi

Le sfide più ardue che le famiglie ricche devono affrontare sono raramente di natura finanziaria. Molto più importante è l’allineamento valoriale dei figli ai genitori. E viceversa.


In ogni famiglia, di fascia private o no, convivono generazioni diverse, con aspirazioni differenti. Nelle famiglie abbienti contemporanee questa distanza e autonomia di pensiero è anche accentuata, perché i membri più giovani possono vivere in continenti diversi e avere maturato visioni del mondo profondamente alternative rispetto a genitori e nonni.

In nuclei familiari che si tramandano grandi patrimoni, spesso generati e anche collegati a un’attività economica, questi approcci diversi possono tradursi ad esempio nella volontà dei giovani di intraprendere un percorso professionale differente, minacciando il futuro dell’impresa ereditata.

Per evitare questa prospettiva la generazione del futuro deve essere convinta del piano di successione, deve condividerne i presupposti e nulla di questo passaggio – di proprietà così come di valori – può essere dato per scontato. Preservare la concordia è fondamentale. Unire le generazioni è vitale.

La comunicazione e la collaborazione, che in una famiglia sembrerebbero scontate, sono in realtà obiettivi estremamente ardui. 

L’imprescindibile collante è rappresentato dall’individuare uno scopo comune tra le diverse generazioni. 

“Le sfide più ardue che le famiglie abbienti devono affrontare sono raramente di natura finanziaria” come evidenza Charles W. Collier, ex consulente filantropico dell’Università di Harvard, nel suo saggio Wealth in Families

Il suo libro, un bestseller regalato a migliaia di clienti da parte dei wealth manager statunitensi, è infatti costruito sulla premessa che la ricchezza non vada affriontata solamente come un fattore finanziario ma, in un senso ampio, da approcciare maggiormente come elemento umano, intellettuale e sociale per chi la possiede o chi le è prossimo e con lei entra in contatto.

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Comunicare e coltivare la fiducia tra generazioni può aiutare a scoprire i valori comuni e gli obiettivi che legano familiari di età anche molto diverse. 

In questo modo, lentamente, si arriva a stabilire insieme la tipologia di gestione e di equilibrio delle responsabilità; i principi d impegno che uniranno nel tempo.

Per le famiglie, ma anche per i wealth advisor che le assistono, questo significa dunque non dedicarsi soltanto allo sviluppo e alla tutela di patrimoni già nutriti – l’elemento quantitativo – ma anche dei capitali qualitativi: le dimensioni umane, intellettuali, emotive e sociali. Sono i valori che preserveranno il futuro di una dinastia anche dopo il passaggio generazionale, anche dopo che la generazione dei fondatori scompare: solo in questo allineamento valoriale – dei figli verso i padri ma,  ugualmente importante e spesso trascurato, anche dei padri verso i figli – ognuno avrà adempiuto al proprio compito nel modo più alto.

La dimensione internazionale, delle famiglie così come delle loro attività, non fa altro che aumentare la complessità. E ancora maggiore valore assumono i momenti e gli organi di raccordo di famiglie, che spesso – alla terza o quarta generazione – assumono i contorni di veri e propri clan parentali, con decine di cugini e figli di diversi matrimoni o convivenze.

Tali strutture assicurano che una famiglia operi in linea con i propri valori e obiettivi; aiutano i membri a prendere le giuste decisioni, comunicare in modo efficace ed evitare conflitti. Per questo è spesso necessario l’intervento di professionisti esterni, dai private banker o wealth manager, ai family office o ai trust, che pur rispettando i desideri e gli indirizzi degli assistiti apportino la necessaria professionalità a una gestione efficiente delle ricchezze.

La sfida per gli imprenditori, i clienti più importanti per l’industria italiana del private banking, è oggi – ma si potrebbe dire sempre - sviluppare e rilanciare le proprie attività in un contesto profondamente diverso da quello in cui esse sono state fondate.

Un errato o tardivo coinvolgimento della nuova generazione porta in molti casi a preferire cedere le proprie attività piuttosto che affrontare la sfida della trasformazione

Negli ultimi 10 anni, come evidenziato da una ricerca condotta dal Politecnico di Milano, ci sono stati quasi 2.400 cosiddetti eventi di liquidità in aziende italiane, con un flusso di circa 300 miliardi di euro. La successione imprenditoriale, la grande alternativa rispetto a cessioni e cessazioni, rappresenta in questo senso una basilare opportunità per promuovere innovazione e avviare processi di cambiamento orientati al futuro, dosando continuità e rinnovamento.

Se l’obiettivo che si vuole perseguire è quello di favorire l’affermazione di una nuova concezione di impresa, più positiva e dinamica, diventa allora fondamentale domandarsi quali siano le condizioni atte a favorire reali opportunità.

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“In primo luogo, è auspicabile che la discontinuità venga considerata e affrontata non come una minaccia né come un mero avvicendamento al vertice, né, infine, come l’occasione per rivoluzionare l’azienda, bensì come una tappa fisiologica del ciclo di vita dell’impresa familiare, essenziale alla sua evoluzione e da integrare al percorso strategico che essa si prefigge di intraprendere” scrive Alberto Martini, direttore Wealth management di Banca Mediolanum, nell’Annuario Aipb 2024, recentemente pubblicato. “In secondo luogo, diventa sempre più rilevante il superamento del dogma di inserire forzatamente figli o parenti in ruoli operativi chiave per introdurre al contrario il ruolo alternativo di azionista alias di investitore istituzionale combinato a nuove figure aziendali da far sedere al tavolo decisionale. L’invenzione del fondatore nonché la sua leadership non si trasmette infatti tramite Dna, ma con il lavoro e l’esperienza quotidiana”.

Pertanto, il coinvolgimento nelle scelte gestionali di soggetti non appartenenti alla famiglia, che apportino competenze diverse rispetto a quelle del successore nella gestione degli asset professionali così come in quelli personali, possono costituire quell’elemento terzo alle dinamiche familiari utile a evitare che le questioni personali influiscano irrimediabilmente sulla buona gestione dei patrimoni.

“Il successo risiede quindi in una nuova generazione di cittadini abbienti aperta al nuovo e dotati della volontà e della capacità di innovare ma soprattutto della volontà ferrea di ascoltare tutti i potenziali professionisti” si legge sulla pubblicazione dell’Associazione Italiana Private Banking. “Se agevolati da particolari situazioni di contesto, infatti, essi si pongono nella prospettiva di riqualificare e ottimizzare l’intero sistema familiare e aziendale e sanno farsi promotori di interventi che, pur rispettando la tradizione, portano anche a intraprendere strade alternative e nuovi percorsi di sviluppo che uniscono la visione di tutte le generazioni al tavolo”. Al disappunto delle generazioni più mature su figli e nipoti che “fanno tutto di testa propria” è bene rammentare che i giovani fanno quotidianamente esperienza di approcci diversi, non più basati sull’autorità, ma sulla partecipazione, la motivazione e il benessere. L’industria del private banking naturalmente non è esente da questa evoluzione. 

“Le economie moderne sono infatti sempre più fondate sulla produzione di conoscenza, per cui beni e servizi hanno un contenuto intangibile crescente che deriva dagli inarrestabili progressi scientifici e tecnologici. I clienti” soprattutto i giovani verrebbe da pensare, “cercano esperienze che li aiutino a realizzare i loro bisogni specifici” rimarca Martini.

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“Questo cambiamento di approccio è motivato da diversi fattori. In primo luogo, c’è una naturale diminuzione del potere d’acquisto in termini di valore e durata; inoltre, stiamo assistendo a una polarizzazione della spesa, che ci sta conducendo verso una società post-consumistica nella quale il tradizionale consumo costante delle famiglie sta gradualmente scomparendo”.

Questa trasformazione è acuita dalle aspettative dei giovani, sempre più consapevoli di vivere in un’epoca con minori certezze di quelle vissute dalle generazioni precedenti. Nonni e genitori che anche in virtù di un contesto più vergine ma maggiormente affidabile hanno potuto costruire da zero ingenti fortune come adesso appare impossibile.

Tale consapevolezza della nuova generazione sta modificando i comportamenti di consumo ma anche, in generale, le scelte di vita, sempre più orientate all’utilizzo piuttosto che alla proprietà.

Se a queste dinamiche si accompagna poi il tema della “longevità sana”, ovvero del più duraturo mantenimento delle capacità mentali e fisiche da parte delle vecchie generazioni, si capisce come oggi l’approccio debba essere quello multi-generazionale. Anche da parte di un gestore patrimoniale.

Soprattutto in un Paese come l’Italia. Se infatti, in una prospettiva internazionale, le più grandi fortune recenti risalgono agli anni 90, epoca d’oro dell’ingresso dei mercati emergenti sullo scenario globale, e il mondo si appresta a un trasferimento di ricchezza di ultra-milionari quantificabile in 5,2 trilioni di dollari nei prossimi 20-30 anni, da noi i tempi potrebbero essere anche più ristretti; vista l’età ormai avanzata della generazione dei baby-boomer, rappresentanti della prima o al massimo della seconda generazione di quella imprenditoria diffusa che, dal secondo Dopoguerra, ha fatto scalare all’Italia le classifiche di ricchezza, trasformando un Paese ancora largamente agricolo in una delle principali economie mondiali.

È questa la sfida attuale dei wealth manager: gestire al meglio una clientela sempre più anziana, nella consapevolezza che, senza un più frequente e maggiormente efficace coinvolgimento della nuova generazione, che oggi magari è all’università o si è affacciata da pochi anni nel mondo del lavoro, tutti gli sforzi saranno stati vani

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