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Lo scudo fiscale del 2009, volàno del private italiano

8/28/2024 | Sara Ruggeri

Le regolarizzazioni delle attività patrimoniali illegalmente detenute all’estero portarono al rientro di centinaia di miliardi e concorsero allo sviluppo del wealth management nazionale


L’Italia è tornata in Svizzera. Dopo 15 anni dall’ultimo debutto, un istituto tricolore (Banca Generali, ndr) ha aperto sulla piazza di Lugano, come i lettori di ADVISOR sanno bene (qui la notizia). 

Ma come è cambiato il nostro rapporto con la confederazione elvetica in questo decennio e mezzo? 

Il 2009 fu l’anno del terzo scudo fiscale per l’Italia e dell’adeguamento al modello OCSE per i nostri vicini. 

“I primi anni Duemila sono stati anni intensi, pieni di novità” ricorda Lorenzo Palleroni (in foto in alto), responsabile in Italia del wealth management della svizzera Vontobel. “Si percepiva che il settore stava evolvendo rapidamente e che era necessario spingere sulla specializzazione. Le famiglie dovevano essere servite in modo diverso dal passato, avevano esigenze più ampie e cercavano professionalità e competenze”.

Nel 2009, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale italiana del D.L. 194/2009, cosiddetto “Mille proroghe”, si riaprono i termini per poter usufruire dello scudo fiscale, per favorire il rimpatrio o la regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali illegalmente detenute all’estero fino al 31 dicembre 2008. Con questa operazioni rientrano in Italia oltre 85 miliardi di euro, dei quali la maggior parte proprio dalla Svizzera (quasi 60 miliardi secondo le stime). Tuttavia i termini di “Rimpatrio o regolarizzazione di attività finanziarie detenute all’estero” erano al centro della discussioni tributarie italiane già dal Duemila e i primi due provvedimenti, varati dall’allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti (in  foto sotto) nel 2001 (Decreto-Legge n. 350 del 25 settembre 2001) e poi riproposti nella Finanziaria del 2003, avevano favorito l’emersione di circa 73 miliardi di euro.

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Dal canto suo la Svizzera, il Paese per antonomasia quando si pensa alla gestione di ingenti patrimoni privati, stava vivendo una grande trasformazione: lo spiegano bene gli avvocati Francesca Rolla e Vincenzo Donadio dello studio Hogan Lovells. “A seguito dalla crisi finanziaria del 2008-2009 e a fronte delle pressioni a livello internazionale, con la decisione del Consiglio Federale del 13 marzo 2009 in materia di assistenza amministrativa fiscale, la Svizzera ha deciso di conformarsi alla normativa OCSE introducendo lo scambio di informazioni su richiesta da parte di Stati con i quali aveva stipulato convenzioni per evitare doppie imposizioni”. La seconda data da tenere presente in questi quindici anni, a detta degli avvocati, è sicuramente il 2017, quando vi fu “l’introduzione dello scambio automatico di informazioni ai fini fiscali (SAI), che ha determinato la fine del segreto bancario nei confronti della clientela estera”.

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Tuttavia, è bene ricordare che il successo della piazza finanziaria svizzera e la sua peculiarità rispetto al resto dei Paesi europei si è costruito nei secoli per molteplici fattori e non solo per il segreto bancario: posizione geografica, ampie risorse di capitali, organizzazione bancaria, libertà di circolazione dei capitali, propensione dei clienti a investire in titoli stranieri, una valuta stabile e un buon mercato monetario. 

In Svizzera già a partire dal Rinascimento era possibile l’esercizio del prestito con un pagamento di interessi ragionevoli e, lo stesso segreto bancario, poi divenuto legge nella prima metà del ‘900, ha origine nel XVI secolo quando i primi banchieri iniziarono la loro attività di raccolta del risparmio e di tutela dei propri clienti seguendo i principi di discrezione e riservatezza. 

È possibile tracciare un filo rosso che colleghi i cambiamenti dei primi anni duemila con lo sviluppo del private banking in Italia? 

Sono di questo avviso i legali Rolla e Donadio (in foto sotto) che ricordano come “gli ‘scudi fiscali’ introdotti dal Governo italiano negli anni Duemila, sono stati, attraverso il rimpatrio di centinaia di miliardi di euro, uno dei principali motori propulsori del cambiamento e della vera diffusione del private banking italiano”. 

“Se agli albori della crisi finanziaria del 2008-2009 il private banking sembrava destinato a rivestire un ruolo marginale nel mercato italiano - spiegano gli avvocati - con l’approvazione dello ‘scudo fiscale ter’ nel 2009 e l’attuazione del SAI in Svizzera nel 2017, l’industria italiana del private banking ha registrato un crescente sviluppo, fino a raggiungere i 1.100 miliardi di patrimonio gestiti alla fine del 2023, nonostante le incertezze derivanti dall’instabilità geopolitica”. 

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Considerazione che trova supporto nella posizione di Lorenzo Palleroni di Vontobel Wealth Management che sostiene: “Se analizziamo l’evoluzione dei dati presentati dall’Associazione Italiana Private Banking è facile notare come le masse seguite dagli operatori in Italia siano in continua crescita. E se pensiamo a quanti percorsi di studio specifici in tema  di private banking sono nati negli ultimi 20 anni ci si rende conto di quanto sia cresciuta questa professione”.

Un grande sviluppo del settore in Italia dunque, che ha visto “negli ultimi anni i clienti orientare le richieste sempre di più verso operatori attivi sul mercato italiano, mentre prima molte venivano soddisfatte da operatori all’estero”. 

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“È proprio questo - sottolinea sempre Palleroni - che ha stimolato un’evoluzione importante dell’industria, permettendole di sviluppare competenze locali differenzianti e sofisticate; costruendole internamente o acquisendole sul mercato. E se inizialmente le esigenze erano prevalentemente di investimento tradizionale, negli anni  sono stati aggiunti servizi legati a fiscalità, diritto societario e successorio, mondo corporate, immobiliare, mercati privati e digitalizzazione”.

In questi 15 anni anche la tecnologia ha assunto un ruolo sempre più decisivo nell’industria finanziaria: per conoscere e soddisfare esigenze sempre più sofisticate dei clienti, gestire i rischi e pianificare strategie complesse. Infatti il rapporto con il cliente, ovunque esso sia, e la richiesta di poter analizzare in tempo reale tutti i suoi investimenti, sono di primaria importanza per la qualità del servizio offerto. 

E proprio “le innovazioni tecnologiche saranno fondamentali per mantenere un vantaggio competitivo, anche rispetto alle banche svizzere che continuano a offrire un elevato standard di servizi” evidenziano Rolla e Donadio che concludono: “Gli istituti elvetici, anche in assenza del privilegio del segreto bancario, sono state in grado di sviluppare nuovi modelli di business, mantenendo una qualità molto elevata dei servizi offerti e un vantaggio competitivo rispetto agli operatori di altri Paesi. Ciò è confermato dal rinnovato interesse, anche da parte degli operatori bancari italiani, verso il mercato svizzero”.

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