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9/17/2014 | pieremilio.gadda
“È ridicolo pensare che la Draghinomics e la probabile adozione del quantitative easing da parte della Bce possano risolvere tutti i problemi della zona euro”. Stephen King, chief Economist di Hsbc Bank è convinto che l'allentamento monetario nella zona euro possa produrre un effetto benefico ma non debba essere considerato la panacea contro tutti i mali strutturali che affliggono alcune economie del Vecchio Continente. Il Qe potrebbe comprimere i rendimenti obbligazionari ma essendo questi ultimi già ai minimi è difficile immaginare come un ulteriore calo possa fare davvero la differenza. Il principale benefico del Qe verrà probabilmente dall'impatto sul tasso di cambio, spiega l'economista, favorendo la competitività della zona euro nel complesso. “Francia e Italia potranno avvantaggiarsi contro i Paesi extra-Ue ma la loro posizione competitiva, già debole, non migliorerà rispetto ai partner europei”, ricorda l'economista.
Il tasso di cambio in calo potrebbe alimentare un secondo potenziale effetto benefico: l'aumento delle aspettative inflazionistiche. Tuttavia, come dimostrano i casi del Regno Unito e del Giappone, non esiste un collegamento diretto tra una stabilizzazione o risalita delle attese sull'andamento dei prezzi al consumo e la capacità di mettere in modo una solida ripresa dell'attività economica: la Bank of England lanciò il suo programma di Qe nel 2009 e solo nel 2013, quattro anni più tardi, si è materializzata una vera ripresa. “Per una soluzione duratura ai problemi della zona euro non basta il Qe, serve una ristrutturazione del mercato del lavoro. Unita alla creazione di una serie di istituzioni che garantiscano la condivisione degli oneri e delle responsabilità sul debito tra Paesi, in momenti di difficoltà”, argomenta King.
Qualcuno obietterà che questo scenario non è politicamente accettabile per la Germania. “Ma l'alternativa potrebbe essere molto peggiore”: dati gli attuali trend di crescita e inflazione, il rapporto tra debito pubblico e Pil nominale è destinato a impennarsi in Italia, Spagna e Francia, premette l'economista: un ulteriore consolidamento fiscale non farebbe altro che rendere crescita e inflazione ancora più depresse. “Questo, minaccerebbe una possibile crisi politica in uno o più Paesi membri. Il che sarebbe penalizzante per tutti. Molto meglio, quindi, riconoscere la necessità di una condivisione degli oneri”.
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