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“La bolla cinese? Vi spiego dove (non) esploderà”

8/6/2014 | pieremilio.gadda

Sbaglia chi crede che il settore immobiliare sia a rischio. Proteggersi da una salita troppo rapida dei tassi negli Usa con debito emergente più “corto”.


Gli occhi degli investitori sono puntati sull’Argentina, prossima al secondo default in 13 anni. Ma secondo molti analisti, i timori che le vicende di Buenos Aires possano scuotere l’universo emergente, alimentando un nuovo effetto contagio, sono infondati. I pericoli (e le opportunità) sono nascosti altrove. Ad esempio nei confini del colosso asiatico. “Nessuno dubita che ci sia una bolla creditizia in Cina. Ma in molti non hanno capito dove esploderà”. Secondo Warren Hyland, gestore del fondo Emerging Markets Short Duration di Muzinich & Co (nella foto), sbaglia chi crede che i rischi possano essere concentrati nel settore immobiliare.

 

Tre sono, infatti, le condizioni perché si verifichi l’esplosione di una bolla: la convinzione generalizzata che le quotazioni di un determinato asset non possano scendere. Prezzi molto lontani dai fondamentali e una significativa leva finanziaria. “Nessuna di queste tre condizioni vale per il mattone cinese”, osserva Hyland. Il dato più significativo riguarda la dinamica dei prezzi del mattone: 800 milioni di persone, ricorda il gestore, vivono nelle aree rurali. Per fare bene i conti, bisogna considerare il reddito delle sole aree urbane, dove si è verificato l’aumento delle quotazioni immobiliari. In questo modo, si vede chiaramente come i salari siano cresciuti più velocemente dei prezzi delle case. Senza dimenticare che il tasso di risparmio delle famiglie cinesi continua a salire. “La bolla non è nel mattone – conclude Hyland -. Semmai nelle State owned enterprise, le aziende controllate dallo Stato e nel settore dei governi locali. Ma il premio al rischio che gli investitori stanno prezzando è troppo elevato. Noi manteniamo un sovrappeso sulla Cina”.

 

In termini settoriali, le preferenze del gestore vanno al comparto energy: i prezzi dell’oro nero resteranno inflazionati a causa delle tensioni ancora incandescenti in molte regioni del Medio Oriente. Tra i sottopesi, Hyland indica la Turchia e le banche commerciali di medie dimensioni.

 

Non sembra spaventarlo, invece, l’approssimarsi della fine del quantitative easing da parte della Federal Reserve e il possibile inizio di una politica monetaria più restrittiva nel Regno Unito, forse già entro la fine del 2014. “Oggi tutti sanno che i tassi prima o poi inizieranno a salire. E nei Paesi emergenti più colpiti dalle ondate di vendite del 2013, sono state avviate alcune riforme per contenere gli squilibri. Ciò che mi spaventa semmai è che i tassi possano salire abbastanza velocemente da generare rendimenti negativi in molti segmenti del reddito fisso. Questo potrebbe innescare nuovi deflussi”.

 

Per contenere i rischi, il gestore preferisce ridurre il rischio duration, rinunciare a prendere parte al gioco delle valute e focalizzarsi sul solo rischio di credito. “Questa scelta ci ha permesso di proteggere il portafoglio dai molti focolai esplosi negli ultimi 15 mesi. Dai timori per l’avvio del tapering negli Stati Uniti, alle tensioni sociali esplose in Brasile, dal conflitto in Siria, alla crisi in Ucraina, fino agli ultimi scricchiolii della bolla cinese”.

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