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7/16/2014 | pieremilio.gadda
Wall street sta uccidendo innovazione e investimenti? L’interrogativo aleggia in un recente articolo di Clayton Cristensen, il docente di Harvard che ha coniato l’idea di “innovazione distruttrice”, pubblicato a giugno dalla Harvard Business Review e titolato “The Capitalist's Dilemma”. Per Cristensen, una delle ragioni chiave per le quali l’ultima ripresa economica è stata fiacca rispetto alle precedenti è che le aziende hanno smesso di mettere in campo delle innovazioni capaci di dare vita a nuovi mercati, quelle che “trasformano prodotti complicati o costosi in modo così radicale da creare una nuova categoria di consumatori o un nuovo mercato”. Solo questo tipo di innovazioni, spiega il professore di Harvard, creano nuovi posti di lavoro. Le altre due categorie, basate sul miglioramento delle performance o sull’incremento di efficienza, al contrario, li distruggono. Le innovazioni “buone”, tuttavia, quelle che Cristensen definisce “market-creating”, richiedono tempo, tipicamente si sviluppano in un orizzonte di cinque o dieci anni. “E il tempo è un lusso che i manager di molte public company non possono più permettersi, dato che le pressioni di Wall Street per migliorare costantemente i risultati, trimestre su trimestre, non sono mai state così forti”, spiegano gli analisti di FOURPOINTS Investment Managers, boutique franco-americana specializzata sul mercato statunitense e sui titoli tecnologici che quest'anno incontrerà per la prima volta i private banker italiani in occasione del 10 Forum Private Banking - Business & Best Practice organizzato da AIPB, .
Per avere successo una start-up ad un certo punto deve però quotarsi. Oggi, i manager sono consapevoli che il rischio di perdere il focus sull’orizzonte di lungo termine e una forma mentis orientata all’innovazione è concreto una volta che, sbarcata in Borsa, l’azienda inizia ad essere analizzata su base giornaliera o quasi. “Quindi – osservano da FOURPOINTS IM – stanno cercano di trovare un compromesso virtuoso: tra il mantenere una propria diversità rispetto al sistema e giocare secondo le regole di Wall Street”. Essere differenti significa rinunciare a stabilire linee guida su base trimestrale e mantenere il controllo dell’azienda nonostante l’effetto diluizione (stock options e M&A), in contrasto con le regole della buona corporate governance. Giocare secondo le regole di Wall Street vuol dire organizzare conference call ogni 4 mesi a cui il Ceo prende parte di buon grado e frequenti incontri dei dirigenti con gli investitori.
Nel frattempo aumenta a dismisura la discrepanza tra il sentiment di breve termine e ciò che accade a livello di competizione tra le aziende. Così, ad esempio, tra marzo e aprile si è osservata una improvvisa rotazione verso mega cap difensive, come nel settore old tech (Microsoft e Intel sono cresciute rispettivamente dell’11,5% e del 19%) proprio mentre tornava a salire la febbre attorno ad Apple, sulle anticipazioni dello smartphone con un display più largo, il futuro phablet (un ibrido tra smartphone e tablet) e un nuovo iWatch. “Noi restiamo convinti che i fondamentali e non il sentiment guidino il mercato e così sarà in futuro. I fondamentali restano intatti, come mostrano i dati del primo trimestre e le prime trimestrali del secondo quarto d’anno. Un mercato molto più limitato, che ha paura delle azioni growth, ha finito per creare molto valore irrealizzato nei portafogli”.
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