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Nuove Frontiere, Silk Invest vede rosa

6/4/2014

Per la boutique Silk Invest i frontier markets offrono opportunità molto interessanti sia sul fronte azionario che nel reddito fisso


Ci sono emergenti già emersi. E altri che mantengono intatto il potenziale di crescita tipico dei mercati meno maturi nella fase iniziale del proprio sviluppo. Sono le cosiddette nuove frontiere, piccole nicchie trascurate dai fondi specializzati sugli emerging markets ma ricche di opportunità da cogliere, sia sul lato azionario, che nel reddito fisso. Alcune delle più promettenti si trovano nel continente nero (sei dei dieci Paesi che crescono più velocemente al mondo sono africani), altre portano in Asia o negli Emirati. “Nel 2013 si è verificata per la prima volta una netta divergenza tra nuove frontiere e mercati emergenti tradizionali, sia sul lato dei flussi che delle performance”, osserva Malick Badjie, Director & Head of Investment Solutions della boutique Silk Invest. Basti pensare che lo scorso anno, mentre il paniere rappresentativo delle maggiori economie in via di sviluppo, l’Msci Em, ha perso il 5%, l’Msci Frontier Market ha chiuso l’anno a quota +21% e il sotto-indice focalizzato sull’Africa ha fatto +26%.

 

“Le valutazioni sono ancora molto attraenti: i listini di frontiera trattano a 12-14 volte gli utili stimati per il 2015, con una crescita degli earnings per azione nell’ordine del 20-30% su base annua e dividend yield molto appetibili. Non solo - spiega Badjie - in media, i frontier markets sono rimasti molto indietro, valgono solo poco più della metà dei rispettivi massimi storici, contro il 75% degli emerging markets e il 99% dell’Msci World”. Anche nel reddito fisso si possono trovare segmenti interessanti. Molte di queste economie, infatti, vantano fondamentali relativamente buoni: nella media, per esempio, i Paesi africani mostrano un rapporto debito su Pil complessivamente inferiore al 20%. Il tasso di crescita del Pil dei frontier markets è superiore al 5% anche per il 2014 (il doppio rispetto ai Bric, 2.6%) e l’inflazione è in progressivo calo a quota 5,3%, mezzo punto in meno rispetto alle quattro maggiori economie in via di sviluppo. Intanto, la percentuale di debito detenuta da investitori locali è cresciuta rapidamente, arrivando a sfiorare il 90% in alcuni casi. “E questo garantisce una notevole stabilità di flussi e valute”, assicura il gestore.

 

Se nonostante il mix ottimale di valutazioni attraenti e fondamentali relativamente solidi gli investitori rimangono diffidenti è soprattutto perché questi mercati sono poco liquidi e, al tempo stesso, esposti al rischio geo-politico. Ma secondo Badjie, “spesso quest’ultimo è molto sovrastimato: c’è un problema di percezione da parte degli investitori, perché questi fattori sono già ampiamente riflessi nei prezzi”. Qualcuno s’interroga, però, sul destino dei mercati di frontiera di fronte al rallentamento della Cina, con cui alcune aree, specialmente in Africa, intrattengono ormai solide relazioni commerciali, con un focus sulle materie prime. “Alcune economie dipendenti dall’export, come l’Angola, possono risentirne, ma la natura di quelle relazioni sta cambiando radicalmente. Basti pensare che nel 2003 gli Investimenti diretti all’estero effettuati in Africa valevano 12 miliardi di dollari e di questi l’85% era destinato a risorse naturali o al settore estrattivo. Oggi l’ammontare degli Ide è quadruplicato, 45 miliardi e il 70% riguarda il comparto dei consumi”.  Tra i mercati favoriti nel 2014, il gestore segnala Pakistan, Bangladesh, Marocco e Dubai, regina dei mercati già lo scorso anno. 

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