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6/3/2015 | Redazione Advisor
La relazione tra clienti e private banker va a gonfie vele. Ma se è vero che le indagini dell'Aipb dimostrano elevati livelli di soddisfazione verso la banca di appartenenza e il proprio consulente in materia d'investimenti, non bisogna sottovalutare la propensione dei clienti a cercare “second opinion”: alla ricerca di una consulenza più empatica, sebbene consapevolmente meno qualificata, il 36% della clientela si rivolge infatti a figure finanziare non professionali (ma di cui si fida); lo fa per avere consigli sui propri investimenti, sulla scelta della struttura o il providere finanziario ai quali rivolgersi, per indicazioni sui singoli prodotti o per capire la dinamica dei prezzi.
Secondo una rilevazione dell'ufficio studi dell'Aipb, la percentuale di clienti che si sono avvalsi del commercialista, di un consulente indipendente o di un avvocato per avere una seconda opinione è sceso di 11 punti rispetto al 2013 e di sette punti percentuali rispetto al 2014. Segno che la fiducia della clientela che dispone di grandi patrimoni verso il proprio banker è in aumento. Ma i private banker non devono abbassare la guardia: Il lavoro fatto finora è buono, dice l'associazione di categoria, ma il Banker non può limitarsi a possedere le competenze finanziarie che gli permettano di assistere il cliente nel valorizzare al meglio il suo patrimonio: deve anche instaurare con lui un dialogo duraturo che miri alla conoscenza delle sue esigenze e dei suoi obiettivi. “Il banker deve diventare il miglior confidente del suo cliente. Se questo aspetto manca, anche solo in parte”, avverte l'.Aipb, “allora il cliente, sempre meno orientato ad una fiducia incondizionata, si incammina alla ricerca di una second opinion, difficilmente controllabile.
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