L'introduzione delle nuove norme europee in tema di fondi alternativi è sta accolta con catastrofismo. E non sono mancate le paure "da fine millennio". Ma l'AIFMD per consulenti (ex-promotori) ed SGR sarà una condanna?
In prima battuta, l’introduzione delle nuove norme europee in tema di fondi alternativi è stata accolta con “catastrofismo” sia da parte (e forse per colpa) dei professionisti che operano nel settore, sia anche da parte di molti operatori. Sono emerse le tipiche paure “da fine millennio”: la colonizzazione estera, l’incapacità di competere sul mercato interno e su quello internazionale e lo scoglio dimensionale delle masse gestite, che - uniti agli interventi a carattere fiscale e prudenziale - avrebbero portato gli operatori esteri ad una sorta di arbitraggio regolamentare (per quanto possibile), sia nella collocazione delle piattaforme gestionali sia nella istituzione dei prodotti, schiacciando il mercato interno.
Con il passare del tempo, invece, stanno progressivamente emergendo, da un lato, le lacune e le incertezze interpretative che caratterizzano ogni maggiore riforma normativa, ma dall’altro, anche le difficoltà organizzative e di processo che gli operatori esteri devono ad oggi affrontare. Le specificità locali e di settore possono poi comunque lasciare spazi di sviluppo nei mercati locali, così come l’abitudine alla regolamentazione può trasformarsi in un, seppur limitato, vantaggio competitivo.
L’eliminazione delle barriere all’ingresso sostanzialmente esistenti nel settore dei fondi alternativi e l’aumento degli oneri amministrativi (seppur accompagnati dalla riduzione dei requisiti di capitale minimo) dovrà portare gli operatori italiani ad un ripensamento strategico del loro ruolo e ad una maggiore attenzione alla pianificazione industriale delle attività, nonché in taluni casi alla riorganizzazione del modello operativo dei gruppi di appartenenza, finalizzato all’ottimizzazione dei carichi prudenziali e delle dinamiche commerciali.
A fronte delle spinte di consolidamento e aggregazione dei gestori operanti in settori più maturi (dove maggiore è l’impatto delle economie di scala), sembra potersi riconoscere sul mercato anche un rinnovato interesse per lo sviluppo di strategie di specializzazione settoriale e/o locale. In questo senso, può pensarsi ad esempio alle nuove iniziative nel settore socio-sanitario che, a fronte dello sforzo di comprensione del rischio industriale sotteso, intervengono in un settore a domanda crescente e con un interesse potenzialmente elevato degli investitori istituzionali, italiani ed esteri.
Quanto sopra, in particolare, si può tradurre nella capacità di offerta (i) ad investitori italiani anche di prodotti di gestione collettiva esteri, direttamente istituiti e gestiti dal gestore nazionale grazie al cd. “passaporto europeo” e (ii) ad investitori esteri di prodotti di gestione collettiva italiani o esteri (sempre tramite passaporto) specializzati in particolari comparti per cui risulta distintiva la conoscenza locale delle dinamiche di mercato.
Per altro verso, occorre anche segnalare che tanto in Italia, quanto in altri stati europei, a fronte dell’armonizzazione portata dall’AIFMD si possono riscontrare, all’interno di altri corpi normativi, disincentivi in fatto - derivanti ad esempio da limitazioni nella computabilità a fini prudenziali - all’investimento da parte dei soggetti vigilati in prodotti di gestione collettiva domiciliati in stati diversi da quello di residenza e vigilanza dell’intermediario stesso. Tali vincoli prudenziali (rinvenibili ad esempio nella disciplina assicurativa spagnola o nel regolamento IVASS n. 36 o, ancora, nelle interpretazioni della Bafin) se, nel breve periodo, lasciano ai rispettivi gestori nazionali un aggio competitivo nelle scelte di investimento dei soggetti vigilati, nel medio e lungo periodo potrebbero finire invece per favorire quei gestori che, indipendentemente dalla nazionalità, siano stati capaci di affiancare, alla propria capacità e track record operativi sui comparti di interesse, un’offerta allargata e “pan-europea” di veicoli di investimento collettivo, da adattare alle esigenze della clientela evoluta.
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