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10/23/2024 | Redazione ADVISOR
“La biodiversità sta rapidamente emergendo come un argomento centrale nel dibattito economico e finanziario globale. Ma perché è così cruciale per gli investitori istituzionali e quali sono le implicazioni per il settore finanziario?”. Marco Ghilotti, senior ma.nager institutional clients, Viktoras Kulionis, senior environmental economist & portfolio manager e Alessandro Sella, research analyst thematic equities di Pictet Asset Management, rispondono che “il World Economic Forum (WEF) ha stabilito che circa il 50% del PIL mondiale dipende direttamente dalla natura e dalla biodiversità, ma si può sostenere che in realtà il 100% del PIL dipende dai servizi ecosistemici forniti da un ambiente naturale sano”.
“Gli ecosistemi - sottolineano gli esperti - forniscono materie prime, regolano le condizioni ambientali, supportano i cicli nutrienti e la formazione del suolo, offrono servizi culturali e ricreativi, contribuiscono alla salute e al benessere umano e mitigano i rischi naturali. Pertanto, sebbene solo una parte del PIL possa essere direttamente attribuita alla natura e alla biodiversità, la totalità delle attività economiche dipende in ultima analisi dai servizi generati in un ambiente naturale sano e funzionante. Come ben riassunto da Albert Einstein “Look deep into nature, and then you will understand everything better".
Quantificare l’importanza della biodiversità: “La biodiversità rappresenta la varietà di vita sulla Terra, dai microorganismi alle piante e agli animali. Questa diversità è fondamentale non solo per l'equilibrio degli ecosistemi, ma anche per la nostra sopravvivenza e il benessere economico. Ad esempio, l'impollinazione naturale, un servizio ecosistemico critico fornito da api e altri insetti, è essenziale per la produzione agricola. Senza di essa, molte colture non potrebbero esistere, mettendo a rischio la sicurezza alimentare globale. La perdita di biodiversità minaccia la disponibilità di servizi ecosistemici che giovano all'economia, come l'impollinazione animale delle colture alimentari, il trattamento naturale delle acque e il suolo fertile. Sebbene le conseguenze economiche della perdita di biodiversità possano essere gravi, quantificarle rimane complesso. Varie stime, sebbene soggette a incertezza, indicano che il valore economico dei servizi ecosistemici è significativo”.
“Il valore annuale dei servizi ecosistemici nel 1995 - ricordano gli analisti - ammontava a 33 trilioni di dollari USA, considerando che il PIL globale all'epoca era di circa 35 trilioni di dollari USA. Un aggiornamento successivo ha rilevato che il valore annuale dei servizi ecosistemici nel 2007 ammontava a 125 trilioni di dollari USA, ovvero circa 1,5 volte il PIL globale. Ancora, uno studio più recente del WEF indica che più della metà del PIL totale mondiale è moderatamente o altamente dipendente dalla natura e dai suoi servizi, esponendolo ai rischi derivanti dalla perdita di biodiversità. In particolare, le industrie altamente dipendenti dalla natura contribuiscono al 15% del PIL globale, mentre quelle moderatamente dipendenti pesano per il 37%. Vengono incluse tra le industrie altamente dipendenti quelle che estraggono direttamente le risorse o si affidano ai servizi ecosistemici quali acqua pulita, terreni sani, impollinazione e un clima stabile. Se la capacità della natura di fornire questi servizi diminuisse, questi settori potrebbero subire perdite significative e impattare sulle catene di fornitura di altri settori che non dipendono direttamente dai servizi ecosistemici”.
I rischi finanziari: “Perché dunque la biodiversità è rilevante per gli investitori? “La risposta risiede nella "doppia materialità", un concetto che evidenzia come le attività aziendali possano danneggiare la biodiversità ma, di contro, anche come la perdita di biodiversità influisca sulle aziende. I rischi finanziari legati alla biodiversità si dividono in due categorie principali: rischi fisici e rischi di transizione. I rischi fisici derivano dal degrado degli ecosistemi, che può compromettere la stabilità operativa e finanziaria delle imprese. Ad esempio, la scarsità d'acqua può influenzare la produzione agricola, mentre la deforestazione può aumentare episodi di inondazioni e frane. I rischi di transizione, invece, emergono dalle innovazioni tecnologiche, dai cambiamenti nei modelli di business e dalle preferenze di consumatori e investitori. Le aziende, infatti, potrebbero essere costrette ad adattarsi, con il rischio di obsolescenza di alcuni modelli di business e un aumento dei costi per rimanere competitive”.
Attualmente, “la valutazione degli impatti e delle dipendenze della biodiversità è ancora in una fase embrionale. La mancanza di dati necessari per condurre un’analisi quantitativa a livello aziendale, così come l’assenza di requisiti normativi di divulgazione, rappresentano ostacoli significativi. Ad oggi le divulgazioni ambientali aziendali si concentrano principalmente sulle emissioni di gas serra, mentre metriche quali uso dell'acqua e rifiuti tendono a considerare (e quantificare) solo gli impatti diretti. Per dimostrare e far emergere gli impatti della biodiversità in ambito economico e finanziario, abbiamo effettuato uno studio dedicato all’analisi della “doppia materialità” che coinvolge ecosistemi e aziende, evidenziando come una simile analisi possa essere utilizzata dalle istituzioni finanziarie e dagli investitori istituzionali. Nella nostra ricerca “Biodiversity impact assessment for finance” abbiamo preso come riferimento l’indice MSCI ACWI, che traccia la performance del mercato azionario globale, raggruppando circa 3000 aziende di grandi e medie dimensioni, presenti rispettivamente in 23 paesi sviluppati e 24 emergenti. I risultati hanno evidenziato l’importanza dell’impatto geografico e dimostrano come la maggior parte dell'impatto sulla biodiversità sia causato dal continente americano, seguito subito dopo dall'Asia, nonostante la scarsa rappresentanza di quest’ultima all’interno dell'indice (6%). L'Europa, invece, è responsabile di un minor impatto. Questi risultati sottolineano la necessità di monitorare la localizzazione della filiera produttiva e i collegamenti della supply chain globale in quanto i prodotti venduti in un paese potrebbero avere impatti significativi sulla biodiversità in altre aree del pianeta a causa dell'approvvigionamento di specifici input di produzione”.
In secondo luogo, “i risultati della nostra analisi identificano quelli che sono i principali determinanti dell'impatto: utilizzo del suolo, stress idrico e cambiamenti climatici. Sebbene la maggior parte dell'impatto sia localizzata in pochi settori, le caratteristiche distinte di quest’ultimi richiedono approcci di mitigazione specifici per area. In particolare, l'agricoltura emerge come il settore con il maggiore impatto, seguito da quello manifatturiero, a causa della presenza di processi intensivi e relativo utilizzo delle risorse, oltre all'inquinamento associato. Dall’altra, però, lo sfruttamento dei terreni a scopo agricolo si è notevolmente ridotto negli ultimi decenni, favorendo la ricostituzione dell’habitat naturale di alcuni animali; a questo si è aggiunto il lavoro di alcune associazioni volte alla conservazione della fauna e all’aumento della biodiversità con il reintegro dei processi naturali. In Europa, ad esempio, è avvenuto il ripopolamento di alcune specie animali, quali il bisonte, il tasso, il castoro e il cervo, grazie all’interruzione delle attività che ne causavano la possibile estinzione. Infine, i risultati della doppia materialità mostrano sia l'influenza che le aziende hanno sulla biodiversità sia gli effetti reciproci”.
“È possibile affermare - concludono i gestori di Pictet AM - che le aziende che trascurano questi impatti potrebbero andare incontro a battute d'arresto finanziarie, il che rende i rischi finanziari derivanti dalla perdita di biodiversità una preoccupazione reale e cruciale per gli investitori”.
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