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Agricoltura, l’innovazione crea rendimenti

9/2/2024 | Redazione ADVISOR

Ignace De Coene (DPAM): “Le sfide persistono, in particolare in regioni come l'Africa, dove l'espansione agricola fatica a tenere il passo con la crescita della popolazione”


"L'agricoltura (e la produzione alimentare in generale) è un settore su cui il mondo si sta concentrando per ridurre le emissioni complessive”. Ignace De Coene, equity fund manager di DPAM, sottolinea che “inoltre le attività agricole sono oggetto di varie analisi e considerazioni, poiché spesso si presume  abbiano impatti che impoveriscono il suolo e sottraggano terreno alla natura. Questo è stato il caso, e chiaramente lo è ancora, in alcune parti del mondo”.

“Tuttavia - constata il manager - è importante non trascurare il ruolo primario dell'agricoltura: produrre cibo per una popolazione che è cresciuta da 1 miliardo di persone due secoli fa a oltre 8 miliardi oggi. Sebbene l'uso del suolo destinato all'agricoltura sia aumentato di quattro volte in questo periodo, la maggiore produttività e l'innovazione hanno svolto un ruolo significativo nel sostenere l’incremento della  produzione alimentare. Un interessante rapporto sull'uso del suolo nelle Fiandre negli ultimi due secoli, pubblicato dal VITO (Istituto fiammingo per la ricerca tecnologica), ha utilizzato l'intelligenza artificiale per rivelare che intorno al 1778 l'agricoltura occupava circa il 64,5% della superficie totale, alimentando una popolazione stimata in circa 2 milioni di persone. Nel 2024, la popolazione è salita a circa 7 milioni. È interessante notare che l'uso del suolo agricolo è sceso al 52%, con i terreni coltivabili che sono passati dal 52% al 30% (il resto è costituito da pascoli). L'aumento principale della conversione dei terreni è stato quello delle infrastrutture, che sono passate dal 5% a poco più del 26%. C’è ancora un ulteriore potenziale di miglioramento in termini di resa, soprattutto in regioni come l'Africa, in cui il margine per aumentare le dimensioni delle aziende agricole e la meccanizzazione è ancora notevole. Non sorprende che, a causa dell'elevata crescita demografica, l'Africa abbia visto raddoppiare l'utilizzo dei terreni agricoli nel corso dell'ultimo secolo. Tuttavia, il continente fatica ancora a far andare di pari passo la produzione alimentare con la crescita demografica”.

L’analista ricorda che “lo stesso vale per le regioni più avanzate, dove sfide ambientali correlate, come la salvaguardia della qualità dell'acqua, indicano che gli agricoltori possono ancora ottenere miglioramenti in termini di efficienza, poiché vengono utilizzati più input di quanti non ne possano assorbire le colture. Le abitudini alimentari sono difficili da cambiare, perché le persone sono generalmente legate a gusti e tradizioni e il gusto è il fattore principale nelle scelte alimentari, mentre le considerazioni sulla salute e sull'ambiente passano spesso in secondo piano. I cibi preferiti hanno solitamente un sapore più intenso o definito, il che rende difficile persuadere i consumatori a passare a opzioni più sane o con una minore impronta ambientale. Per esempio, molti hanno provato prodotti a base di carne vegetale come quelli di Beyond Meat, ma non hanno continuato per una serie di motivi, il più importante dei quali è probabilmente il gusto”.

Considerata la lentezza con cui si possono modificare le abitudini alimentari, “la riduzione dell'impatto ambientale della produzione alimentare dovrà fare affidamento su miglioramenti in termini di efficientamento e sul progresso tecnologico. La buona notizia è che stiamo parlando di un mercato vasto, che consente alle innovazioni di successo di affermarsi in tempi relativamente brevi. Gli ostacoli principali restano i tempi di commercializzazione, dovuti a processi di approvazione spesso lunghi, e la necessità di convincere gli agricoltori, attenti ad ottenere ritorni tangibili sui propri investimenti”.

Come dimostrare quindi l’impatto positivo dell’efficientamento tecnologico sui rendimenti? “Prendiamo in considerazione l'olio di palma, un alimento base per miliardi di persone in Asia e Africa che rappresenta un terzo del mercato globale degli oli vegetali. Sostituire l'olio di palma è una sfida, soprattutto perché le rese di olio sono molto più elevate rispetto a quelle che derivano da altre colture. Nonostante i continui investimenti nella ricerca e nello sviluppo sui semi di palma da olio, nell'ultimo decennio le rese si sono stabilizzate. In parte ciò è dovuto alle piantagioni stesse: i terreni più adatti sono già utilizzati e quelli aggiunti di recente tendono a essere meno produttivi (per non parlare dell’effetto negativo causato dalla deforestazione). Inoltre, a differenza di altre colture (come riso e mais), non sono ancora disponibili varietà ibride di olio di palma. In questo contesto, troviamo comunque aziende, come Verdant Biosciences, il cui lavoro di sviluppo iniziale mostra risultati promettenti, tra cui la resistenza alle malattie e la possibilità di raddoppiare la resa del prodotto oleoso finale. Considerando il ciclo di sostituzione di un albero di palma da olio, l'introduzione di semi ibridi potrebbe portare a un aumento del 4% della produzione di olio di palma nell'arco di 25 anni, senza richiedere l’utilizzo di ulteriori terreni. Anche senza questo miglioramento, tuttavia, l'olio di palma rimane relativamente efficiente a livello globale: una produzione di 80 milioni di tonnellate ad esempio, utilizza “solo” 30 milioni di ettari, mentre per produrre 60 milioni di tonnellate di olio di soia sono necessari 133 milioni di ettari”.

Pensiamo anche all’allevamento “prendendo Bovaer, un’azienda che siamo soliti menzionare in quanto ottimo esempio di come ridurre immediatamente le emissioni della produzione lattiero-casearia e bovina, settori difficili da convertire. Il costo stimato per l'utilizzo di Bovaer, l’additivo per mangimi sviluppato dall’azienda, è di circa 80-90 euro per capo bovino all'anno, ovvero un centesimo in più per litro di latte. A fronte di questo costo molto contenuto sul prodotto finale, il beneficio in termini di riduzione delle emissioni di metano per capo bovino che assume mangime addizionato con questo additivo, è di almeno il 30%. Ciò equivale a 30 kg di metano (sulla base di un'emissione standard di 90 kg di metano) evitati per capo bovino all'anno (cioè quasi 1 tonnellata di CO2), il che sembra ragionevole rispetto al prezzo dei diritti di emissione europei (circa 70 euro per tonnellata)”.

“Questi esempi - conclude De Coene - mostrano come le innovazioni in agricoltura e nel campo tecnologico relativo hanno permesso di aumentare la produttività, anche se l'uso dei terreni agricoli è cambiato e diminuito. Tuttavia, le sfide persistono, in particolare in regioni come l'Africa, dove l'espansione agricola fatica a tenere il passo con la crescita della popolazione, rendendo necessari ulteriori guadagni in termini di efficienza e progressi tecnologici per ridurre l'impronta ambientale dell'agricoltura, garantendo al contempo la sicurezza alimentare”.

 

 

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