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ESG in Cina, tante opportunità ma non mancano i rischi

6/20/2023 | Redazione Advisor

Matthew Welch (DPAM): “Affidarsi semplicemente ai punteggi ESG esterni è insufficiente a valutare adeguatamente i rischi, bisogna quindi integrarli, tramite un dialogo costante con i team di investimento e di ricerca”


“L’interesse degli investitori in Cina è salito negli ultimi anni. Il governo cinese accoglie con favore capitali esteri, e la crescente classe media del Paese, così come la sua leadership nell’ambito delle tecnologie emergenti come il solare e le batterie per veicoli elettrici, offrono opportunità interessanti agli investitori. Il potenziale della Cina è indiscutibile, ma le riforme recenti evidenziano quanto qui sia ancora difficile investire in modo sostenibile”. Matthew Welch, responsible investment specialist di DPAM, spiega che “navigare all’interno del complesso contesto nazionale per investire con una prospettiva ESG richiede una profonda conoscenza del Paese”. 

“Le decisioni strategiche prese dal governo cinese negli ultimi 75 anni – ricorda il manager - hanno guidato il Paese nella transizione a potenza economica mondiale. Dato l’aumento dell’influenza del governo cinese, vi è un forte bisogno per gli investitori di assicurare che le loro aziende stiano progredendo responsabilmente e in allineamento con gli obiettivi politici. Qualora questi obiettivi siano in conflitto con le norme globali, gli investitori responsabili dovrebbero occuparsi di controllare che le normative vengano comunque rispettate: ciò aumenta la complessità e le sfide legate agli investimenti in Cina, ma non rende meno attraente il Paese nel lungo termine. Il peso delle imprese statali, controllate principalmente dal Partito (PCC), è stato rafforzato da Xi Jinping a discapito delle imprese private. Dal settembre 2018, inoltre, le imprese private quotate sul mercato interno sono obbligate, al pari delle statali, a istituire una cellula di Partito, favorirne le attività e affermare la funzione centrale di tali cellule nelle operazioni commerciali e decisionali”. 

“L’influenza del governo - prosegue il manager - si riflette anche nell’ottenimento delle ‘golden shares’, azioni che garantiscono poteri speciali o un maggior controllo, di aziende che gestiscono infrastrutture di informazione critica e detentrici di grandi quantità di dati, così come nell’adozione di diverse misure restrittive che hanno determinato un’ondata di sanzioni, come quelle imposta ad Alibaba dopo che il suo fondatore ha criticato il regolatore cinese, portando a un crollo dei prezzi delle azioni. All'inizio di quest'anno, il PCC ha acquisito golden shares in Tencent, Bytedance, e Alibaba, estendendo la sua influenza sulle aziende star tech del Paese e sui suoi più potenti e ricchi uomini d'affari. Dato il focus del governo sulle imprese statali per raggiungere le ambizioni del Partito, misure restrittive sulle aziende dissidenti e un’influenza estensiva attraverso le golden share, una convergenza tra aziende statali e private diviene evidente”.

Dal punto di vista ambientale, “nonostante la Cina rimanga il principale contribuente alle emissioni globali di CO2, considerando le dimensioni della popolazione, le emissioni di gas serra pro-capite sono simili a quelle della Germania, Paese di dimensioni notevolmente inferiori. Inoltre, è da considerare come alcune emissioni dovrebbero essere attribuite a nazioni che comprano prodotti ‘Made in China’ perché la loro produzione non è, di fatto, destinata al mercato cinese. In generale però, il governo ha ben chiaro l’impatto negativo di queste emissioni sulla salute della popolazione ed ha messo in atto una serie di politiche per rafforzare le rinnovabili e ridurre le emissioni in settori specifici. In particolare, sono stati compiuti passi significativi per diminuire l’impatto ambientale delle aziende, che vengono incentivate dal timore di perdere la licenza di operare o di essere soggette a possibili multe in caso di informazioni non comunicate o false, o di mancato rispetto degli standard ambientali. Pertanto, è fondamentale che le aziende dispongano di adeguati sistemi di gestione per monitorare e limitare l’inquinamento atmosferico. Dal punto di vista delle energie rinnovabili, il Paese ha pianificato di produrre 1.200 GW di energia solare ed eolica entro il 2030”.

“La Cina - constata l’analista - è già leader nell’industria manifatturiera dei pannelli solari, ma questo ruolo di primo piano potrebbe diminuire a causa delle tensioni geopolitiche, seppur non dall’oggi al domani. Più di recente il sistema cinese di scambio delle quote di emissione è stato messo in pratica dopo lunghi ritardi. Questo sistema di scambio attualmente include circa 2.000 aziende del settore energetico, che emettono annualmente quasi 4.5 miliardi di tonnellate di diossido di carbonio, rappresentando circa il 40% del totale del Paese. Comunque, alla fine del 2021, il Ministero dell'Ambiente cinese ha criticato le aziende per la falsificazione dei dati sul carbonio e si prevede un aumento della produzione di carbone pari a 100-150 milioni di tonnellate nel 2023, il 3% in più rispetto all’anno precedente. L’inaccuratezza dei dati ESG relativi alle aziende cinesi è quindi una sfida ancora aperta”.

Al livello sociale, “a causa di varie regolamentazioni utilizzate per monitorare, tracciare e perseguire i dissidenti politici o coloro che criticano la classe dirigente, le aziende cinesi non possono garantire pienamente la protezione delle informazioni dei loro clienti dal governo. Uno strumento utilizzato per rafforzare la censura digitale in Cina è il Great Firewall, una collezione di leggi e tecnologie che blocca i contenuti dei siti delle aziende straniere, favorendo così le internet company domestiche. Ulteriore strumento che proibisce il trasferimento dei dati raccolti in Cina ad autorità straniere, legali o di esecuzione, senza l’approvazione da parte di autorità cinesi competenti, è la Cybersecurity Law. Alle organizzazioni è inoltre vietato riferire quali dati vengono condivisi con il governo, rendendo così complesso comprendere il livello di collaborazione riguardo alle repressioni autoritarie o non democratiche. Non bisogna sottovalutare anche la persecuzione degli Uiguri, spesso costretti a lavorare nelle aziende che operano nella regione dello Xinjiang: per questo motivo, gli USA e l’Unione Europea vietano l’importazione di beni interamente o parzialmente prodotti in quel luogo, sulla base della presunzione di lavoro forzato. La Cina non è l’unico Paese in cui le aziende si confrontano con abusi dei diritti umani, ma si distingue per il significativo coinvolgimento del governo nelle aziende”.

Dal punto di vista degli investimenti quindi, “i rischi legati alle aziende partecipate possono essere valutati al meglio grazie al supporto di fornitori di dati ESG; ciò è particolarmente importante in Cina, dove il percentile medio di rischio ESG è significativamente più alto della media. Questa discrepanza può essere spiegata dal basso tasso di copertura delle aziende, dalla modesta divulgazione delle informazioni ESG, e dalla visione prettamente occidentale relativa alle buone pratiche in questo ambito: con una maggiore pressione da parte degli shareholder, le aziende cinesi potrebbero quindi migliorare il loro reporting ESG”.

“È necessaria un’appropriata comprensione delle sfide ESG in Cina per evitare di investire in aziende che possono ricadere in sanzioni governative occidentali o cinesi. Affidarsi semplicemente ai punteggi ESG esterni è insufficiente a valutare adeguatamente i rischi, bisogna quindi integrarli, tramite un dialogo costante con i team di investimento e di ricerca ESG, a una conoscenza profonda dei rischi specifici di svariati settori e delle sfide geopolitiche per una scelta d’investimento consapevole ed accurata”, conclude Welch.

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