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11/7/2016 | Didier Saint-Georges
L'economista americano Hyman Minsky, scomparso nel 1996, era famoso per sostenere che all'interno della stabilità a lungo termine dei mercati finanziari si trovano i germi per una futura crisi. In poche parole, egli sosteneva che nel corso del tempo, la stabilità genera eccesso di fiducia negli investitori, cosa che li porta ad assumere rischi eccessivi, culminanti in una correzione futura. Questa teoria è stata rappresentata dalla grave crisi finanziaria del 2008, un "Minsky moment" se ce ne fosse mai stato uno.
È stata l'archetipica conseguenza per i rischi eccessivi assunti dal settore bancario durante gli anni di apparente stabilità. Pur dimostrata, questa teoria è ancora particolarmente difficile da accettare da parte degli operatori del mercato. Chi non sceglierebbe la stabilità rispetto alla volatilità? Come ammettere che preferire stabilità e prevedibilità può essere la fonte di tutti i rischi? Come fanno i trader e gli investitori ad accettare che la volatilità - universalmente percepita come una misura quantificabile di rischio - possa essere la nostra grazia salvifica?
L'insegnamento di Minsky dovrebbe, tuttavia, bastare a distoglierci dalla nostra deferenza dogmatica per l'unione di stabilità e sicurezza. Diamo un'occhiata più da vicino. L'intervento senza precedenti avviato nel 2009 da parte delle banche centrali, per evitare che la crisi finanziaria si trasformasse in una depressione, è stato necessario. Ma non è soltanto servito per allontanare un crollo economico. Ha dato agli investitori un grado di visibilità altrettanto senza precedenti sul prezzo degli asset finanziari.
Alimentata da questo senso di sicurezza, una conseguente "sindrome Minsky" ha influenzato il comportamento degli attori economici su tutta la linea: perché affrontare lo sforzo di ridurre il livello di debito quando si sa che il debito è sempre più conveniente? Perché investire in ricerca, produttività e competenze, se l'investimento finanziario offre un elevato tasso di rendimento garantito? Perché comportarsi da risparmiatore attento se le banche centrali si stanno preoccupando di gestire i rischi del mercato?
Il saggista Nassim Taleb mette in evidenza il fatto che, quando questa stabilità è imposta forzatamente, diventa rigidità, come una diga che trattiene un’alluvione. Quando si rompe la diga - e alla fine succede sempre, afferma Minsky - la forza è tanto più drammatica (i matematici la descriverebbero come non-lineare). Come facciamo quindi a non vedere che questa mancanza di flessibilità è pericolosamente radicata nel sistema finanziario di oggi? Facendo ben poco per affrontare gli squilibri nelle loro finanze pubbliche, la stragrande maggioranza dei governi non si è data alcun margine di manovra.
Portando i tassi di interesse a zero, le banche centrali hanno esaurito la maggior parte del loro potere. Nel frattempo, sotto la pressione dei regolatori, le banche commerciali hanno tagliato la loro flessibilità in modo significativo, e in particolare la loro capacità di intervenire come fornitori di liquidità sui mercati finanziari, passando quindi la parte maggiore del rischio di mercato agli investitori. Quello che Minsky e Taleb non riescono a dirci è quanto tempo uno scenario di stabilità possa resistere prima di culminare nella sua stessa rovina. I mercati azionari sostenuti, l’inflazione molto debole, i tassi di interesse bassissimi e le valute equilibrate; nessuno sa per quanto tempo tutto questo ancora durerà. Senza il dono della chiaroveggenza, la fragile rigidità del sistema ci costringe ad agire in due modi.
Da un lato, dobbiamo monitorare tutto ciò che potrebbe indicare una crepa in grado di indebolire la stabilità, in particolare ogni sviluppo significativo con la possibilità di innescare una inversione di tendenza ciclica, un mutamento nei trend dei prezzi delle commodity, una revisione delle posizioni della banca centrale o delle riduzioni dei tetti di bilancio. Dall’altro noi stessi, in quanto investitori, dobbiamo resistere, allontanandoci dalla flessibilità che il sistema ha perso.
*managing director e membro del comitato investimenti di Carmignac
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