Tempo di lettura: 5min

Banche centrali di fronte a un bivio

8/6/2019 | Tristan Hanson*

Se continuano così, forse finiranno in un vicolo cieco e hanno bisogno di approcci nuovi. Il loro obiettivo dovrebbe essere quello di prevenire le catastrofi finanziarie


Le banche centrali si trovano di fronte a un bivio e, se continuano così, forse finiranno in un vicolo cieco. La buona notizia, tuttavia, è duplice. Gli istituti riconoscono la necessità di riesaminare il proprio quadro normativo e stanno arrivando a questa conclusione passando da un punto di forza: la disoccupazione è ai minimi storici nella maggior parte dei paesi sviluppati. I problemi sono diventati subito evidenti. In primo luogo, il quadro convenzionale attualmente in vigore - la flessibilità degli obiettivi di inflazione - mira a colpire una variabile su cui le banche centrali hanno evidentemente un controllo limitato.

Il Giappone ne è l'esempio più estremo. Negli ultimi 7 anni la Banca centrale ha ampliato la base monetaria di oltre 400 mila miliardi di yen (o circa 4 mila miliardi di dollari), pari al 100% del PIL. Invece di un'impennata dei prezzi, il risultato è stato un tasso medio di inflazione di appena lo 0,7% annuo (0,3% al netto di cibo ed energia), costantemente ben al di sotto dell'obiettivo dichiarato del 2%. Il risultato sarebbe stato significativamente diverso se l’iniezione fosse stata di 200, 400 o 800 mila miliardi di yen? Vale la pena di rifletterci. O le banche centrali sono state fin troppo moderate nel loro approccio, o altri fattori fuori dal loro controllo esercitano quantomeno la stessa influenza sull’inflazione.

Vengono in mente i ruoli di tecnologia, demografia e della natura della concorrenza; in tal caso, un livello di inflazione specifico è il target sbagliato. In secondo luogo, il framework economico convenzionalmente usato dalle banche centrali non sta funzionando. In uno dei suoi ultimi (e più affascinanti) discorsi come presidente della Federal Reserve, Janet Yellen (nella foto) ha affrontato il tema. Il modello si basa essenzialmente sul concetto di output gap definito da una misura della piena occupazione e sul ruolo delle aspettative inflazionistiche nel determinare l'inflazione futura. Sul concetto del livello di disoccupazione che genera un'inflazione futura più elevata, la Fed si è sbagliata completamente, come ha ammesso solo di recente l'attuale presidente Jerome Powell alla deputata Ocasio-Cortez.

La Fed si è sbagliata sulla calibrazione - o sul processo che genera l'inflazione? Analogamente, nell’economia odierna in ruolo delle aspettative inflazionistiche – come tipicamente analizzato – sembra confuso e datato, una reliquia dei modelli disegnati negli anni ’70 e ’80, quando l’inflazione era a doppia cifra. Silvia Tenreyro, membro del Monetary Policy Committee della Bank of England, ha osservato in un recente discorso che "se le famiglie si aspettano che i prezzi aumentino di più, questo aumenta il loro incentivo a spendere oggi, piuttosto che risparmiare". È davvero così che si comportano le famiglie? Sembra molto improbabile ai bassi livelli di inflazione di oggi, anche se poteva essere così 40 anni fa. Oggi siamo fortunati nella maggior parte dei mercati sviluppati.

La definizione di stabilità dei prezzi di Greenspan è stata raggiunta: l'inflazione è troppo bassa per essere notata e la maggior parte delle famiglie (o addirittura delle imprese) prende decisioni di spesa e di risparmio senza quasi considerarla. Le persone rispondono alle variazioni dei prezzi relativi tra beni e servizi, che in un regime di bassa inflazione fanno sì che le variazioni del livello dei prezzi aggregati siano minime. Nel mondo sviluppato moderno, l’inflazione costituisce un rumore di fondo. Che dire dell'inflazione attesa dai professionisti e dai mercati finanziari. I sondaggi degli economisti possono essere utili, ma hanno poca relazione con la popolazione in generale. Le misure dell'inflazione attesa sui mercati finanziari sono importanti per i prezzi di mercato e per i conti economici dei trader, ma fluttuano troppo per essere stime affidabili dell'inflazione futura a molti anni di distanza. Perché una stima apparente dell'inflazione nei prossimi 30 anni dovrebbe fluttuare con movimenti spot del prezzo del petrolio? Gran parte dei cambiamenti sembrano essere legati alla fluttuazione dei premi di rischio, che fortunatamente le banche centrali riconoscono.

Quindi, a che punto siamo e cosa bisogna fare? Le banche centrali hanno bisogno di pensieri e approcci nuovi. Devono riconoscere che i loro modelli non funzionano, cercando di capire perché e modificandoli di conseguenza (cosa che dovrebbe accadere comunque). Devono anche riconoscere che un obiettivo di inflazione definito è fuorviante. Il loro obiettivo dovrebbe essere più modesto ma perseguito più aggressivamente.

Per cominciare, propongo i seguenti obiettivi, in ordine di importanza: (i) promuovere la stabilità finanziaria e prevenire il collasso del sistema finanziario; (ii) promuovere un’inflazione bassa misurabile in un range tra 1-3% nel medio periodo; (iii) facilitare la crescita economica. La funzione di gran lunga più cruciale della banca centrale è il suo ruolo di prestatore di ultima istanza. Prevenire le catastrofi economiche è molto più importante che armeggiare con i tassi d'interesse. Gli altri obiettivi di mantenere bassa inflazione e incoraggiare la crescita sono preziosi, ma imprecisi. Parallelamente, il mandato riveduto dovrebbe comportare un cambiamento di mentalità: fare meno, ma più spesso, essendo coraggiosi quando necessario.

Le piccole variazioni dei tassi d'interesse sono di solito irrilevanti. Ma le banche centrali dovrebbero agire in modo molto più coraggioso quando sembrano non aver raggiunto questi più ampi obiettivi. Per questo motive, hanno bisogno di strumenti rivisti. Un ulteriore QE non è la medicina giusta, come suggerisce l'esperienza giapponese. Un'adozione più ampia dei prestiti mirati (TLTRO) a due tassi d'interesse, maggiori poteri di acquisto di azioni e credito per ridurre i premi di rischio del settore privato durante le recessioni e la capacità di effettuare trasferimenti diretti al settore privato sarebbero, tuttavia, dei veri e propri "game changers". Le banche centrali hanno bisogno di un ripensamento radicale, fintanto che le condizioni sono buone. Continuare sulla stessa strada percorsa finora semplicemente non basta.

*fund manager multi-asset di M&G Investments

Condividi

Seguici sui social

Advisor è la prima piattaforma interamente dedicata alla consulenza patrimoniale e al risparmio gestito con oltre 38.000 professionisti già iscritti


Accedi a funzionalità esclusive e migliora la tua esperienza di navigazione


  • Leggi articoli esclusivi
  • Salva le tue news preferite
  • Partecipa ad eventi esclusivi
  • Sfoglia i magazine in anteprima

Iscriviti oggi!

Hai già un profilo? Accedi qui

Cerchi qualcosa in particolare?