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2/15/2019
Il rallentamento congiunturale dell'economia a livello globale non è più una previsione ma un dato di fatto.
Alcuni dati: a dicembre l’indice PMI globale di J.P. Morgan è calato di 0,5 punti attestandosi a 51,5, e tutte le principali aree geografiche mondiali stanno contribuendo a questo rallentamento. Infatti pur restando elevato in termini assoluti, l’indice ISM manifatturiero statunitense del mese di dicembre è fortemente crollato da 59,3 a 54,1, mentre lo stesso indice per l’attività dei servizi è calato da 60,7 a 57,6. In Cina, dopo aver continuato a registrare flessioni da un anno a questa parte per attestarsi alla fine al di sotto del livello 50 (49,7), l’indice PMI Markit-Caixin ha confermato l’ingresso degli indicatori dell’attività manifatturiera del paese nell’area di recessione. Parallelamente, l’indice PMI manifatturiero della Germania ha anch’esso confermato il calo su dodici mesi, attestandosi a fine anno a 51,5, dopo avere iniziato l’anno a 63,3. In Europa questa tendenza ha trovato conferma in Francia, dove le proteste dei “gilet gialli” hanno contribuito al crollo dello stesso indice manifatturiero sotto la soglia dei 50 (49,7), e in Italia, dove l’indice PMI ha continuato a indicare una recessione (49,2).
Secondo l'analisi di Didier Saint-Georges, managing director e membro del comitato investimenti di Carmignac, in fatto di politica monetaria la situazione appare in stallo. In Europa la BCE, almeno nel breve periodo, non interverrà in soccorso della crescita dopo aver chiuso i rubinetti a dicembre.
In Cina i margini di manovra del governo di Xi JInping sono ridotti, le restrizioni all’adozione di maggiori stimoli sono diventate molto significative. Infatti attualmente la priorità dichiarata è quella di sgonfiare la bolla del credito (va rammentato che ad oggi il rapporto debito/PIL del paese si attesta al 270%). Inoltre la Cina non dispone più di surplus delle partite correnti. Di conseguenza uno squilibrio di bilancio eccessivo non solo sarebbe contraddittorio rispetto alla volontà strategica di ridurre gli squilibri, ma innescherebbe rapidamente anche delle pressioni sulla valuta, e ciò aumenterebbe immediatamente le divergenze con l’amministrazione Trump nelle trattative sui dazi doganali. Infine per quanto riguarda gli Stati Uniti, lo stallo è già in atto da alcuni mesi, con lo shutdown e la sospensione delle attività amministrative con la priorità della costruzione del muro con il Messico.
Su questo però guardando alla Fed, Powell nelle sue ultime dichiarazioni del 4 gennaio è apparso sorprendente rispetto alla precedente del 19 dicembre. Come sottolinea l'esperto di Carmignac, invece di presentare la riduzione del bilancio della Fed come un processo ben avviato e non negoziabile, si è dimostrato disponibile a variarne il ritmo.
Insomma, se la questa flessibilità da parte della banca centrale americana dovesse avverarsi e le trattative tra Trump e XiJinping dovessero proseguire, allora si potrebbe avverare un rimbalzo sui mercati azionari di una certa portata.
Se da una parte la Fed si impegna, dall'altra però le problematiche sostanziali non sono risolte. Didier Saint-Georges spiega che Il 2019 inizia con l’eventuale proseguimento della revisione al ribasso dei risultati stimati per le imprese, in Europa così come negli Stati Uniti. Anziché aspettarsi ancora una crescita di circa l’8% dei risultati, è verosimile che la realtà sia piuttosto un calo assoluto dei risultati rispetto al 2018, attraverso l’erosione dei fatturati e la flessione dei margini.
Un rimbalzo auspicabile ma probabilmente soltanto temporaneo e, conclude l'esperto, non si tratta ancora dell’inversione di tendenza iniziata quasi un anno fa. Potrà essere necessario saper approfittare di questo movimento improvviso per prendere profitti.
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