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8/21/2017 | Tristan Hanson*
Nell’insieme, è molto il tempo dedicato al monitoraggio e all’analisi dei dati sui flussi dei fondi di investimento. È tempo speso bene?
I presupposti da cui si parte in genere sono che i dati sui flussi consentono di identificare gli asset “richiesti” e, in assenza di cambiamenti significativi, la continuità dei flussi potrebbe segnalare una tendenza alla progressione sottesa a una certa asset class. In alternativa, afflussi o deflussi di entità particolarmente rilevante potrebbero indicare che gli investitori hanno assunto un atteggiamento estremamente positivo o negativo nei confronti di una classe di attivi, offrendo magari un’opportunità di investimento di tipo contrarian.
La sfida iniziale ovviamente è capire se i dati retrospettivi aiutino effettivamente a prevedere i flussi futuri. Queste argomentazioni però contengono una criticità più profonda: al prezzo di equilibrio di mercato (solitamente vigente nei mercati finanziari aperti liquidi), la domanda equivale all’offerta: per ogni compratore c’è un venditore (o un emittente netto). Non esiste un flusso netto.
I dati sui flussi dei fondi pubblicati di solito riflettono soltanto un campione ricavato da un segmento della base di investitori potenziale, per lo più fondi di investimento retail e istituzionali ed ETF. E tutti gli altri? Pensiamo alle banche centrali, ai fondi di ricchezza sovrani, agli hedge fund, agli investitori privati e alle stesse società. Se si considerano tutti gli investitori, i flussi aggregati si sommeranno fino a uguagliare l’offerta netta di nuove azioni e obbligazioni. In questo senso, i dati sui flussi dei fondi comunemente disponibili rappresentano solo un lato della medaglia.
Non sorprende, quindi, che offrano una spiegazione parziale dei movimenti di mercato concomitanti e, a maggior ragione, di ciò che potrebbe accadere in futuro. Il grafico che segue mostra i flussi mensili dei fondi azionari statunitensi (inclusi gli ETF) nell’arco degli ultimi due anni circa, insieme all’indice S&P 500. I sostanziosi afflussi recenti sono stati accompagnati da incrementi dei prezzi, ma non era andata così all’inizio del 2015 e i deflussi visti nel 2016 non avevano fermato l’apprezzamento del mercato dopo il primo trimestre. Andando anche più indietro, si nota una relazione altrettanto instabile.
Per rilevare segnali di un’abbondanza di capitali che confluiscono in un determinato mercato o settore, segnalando rischi di una redditività del capitale bassa in futuro, sarebbe meglio analizzare l’emissione aggregata di azioni o di titoli di debito in quel mercato.
La tesi secondo cui i dati sui flussi dei fondi contengono informazioni utili per prevedere i rendimenti futuri degli investimenti poggia necessariamente sul presupposto che le caratteristiche e il comportamento dei fondi rilevati dai campioni siano in qualche modo diversi rispetto ad altri segmenti del mercato. Sono capitali intelligenti o meno? Mani forti o deboli? Le caratteristiche di liquidità dell’asset class sono in contrasto con le preferenze di una specifica categoria di investitori? I flussi del campione sono particolarmente sensibili al rischio benchmark o ai movimenti di mercato a breve termine e magari propensi a inseguire il mercato, dal punto di vista comportamentale?
Quand’anche si riesca a elaborare una teoria della segmentazione degli investitori, è indispensabile qualche presupposto sulla relazione tra flussi e prezzi degli asset. Chiaramente una relazione di questo tipo non è mai rigida. Lo sappiamo perché i movimenti di prezzo ampi non richiedono flussi di alcun genere. È facile immaginare qualche scenario: i prezzi di mercato precipitano in risposta a uno shock; oppure si muovono in previsione di un flusso consistente (come descritto da Benoit Coure in un intervento recente sull’impatto degli acquisti di asset della BCE).
Ma i mercati possono muoversi anche perché i soggetti che vi partecipano semplicemente concordano su un prezzo diverso (ossia, quando cambiano le convinzioni). Il comportamento dei flussi dei fondi azionari statunitensi è istruttivo. I fondi comuni in azioni domestiche degli Stati Uniti hanno visto un deflusso costante per gran parte degli ultimi 10 anni, periodo durante il quale l’indice S&P 500 ha generato un rendimento totale superiore al 100% (da giugno 2007 a giugno 2017). Come è noto, le società statunitensi hanno riacquistato azioni proprie, a conferma di quanto stiamo dicendo: i prezzi degli asset sono determinati dalle convinzioni, non dalle transazioni, e la variazione del prezzo di un asset ci dice se il prezzo ex ante era troppo alto o troppo basso, alla luce delle nuove informazioni e delle convinzioni aggiornate.
Pertanto concludiamo che è utile dedicare tempo soprattutto ad analizzare i cambiamenti di prezzo e di valutazione, cercando di capire le convinzioni prevalenti nel consenso riguardo alla natura dell’economia mondiale e all’atteggiamento nei confronti del rischio e del rendimento. Interrogarsi sulle circostanze in cui le convinzioni saranno probabilmente messe in discussione e sulla direzione che prenderà il comportamento degli investitori a nostro avviso è un esercizio più proficuo, anche se complesso.
* Tristan Hanson, gestore del team Multi Asset di M&G Investments
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