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12/13/2024 | Marcella Persola
Guardando al futuro non si può parlare di prospettive dei mercati finanziari nel 2025 senza affrontare il tema della nuova amministrazione americana. Ne è convinto Filippo Casagrande, (nella foto) chief of investments di Generali Investments che sottolinea come siano 4 i principali punti dell'agenda politica da monitorare: dazi e politica commerciale; miglioramento del quadro fiscale alle imprese; deregolamentazione delle attività economiche e contrasto all'immigrazione.
Questi punti avranno effetti sia sul commercio mondiale e sulla crescita, sulle dinamiche di inflazione, sui rapporti con l’Europa e altri Paesi, sulle metriche fiscali e, naturalmente, sui mercati finanziari.
L’amministrazione Trump vuole utilizzare i dazi per rivitalizzare il settore manufatturiero interno, per finanziare la riduzione delle imposte per le imprese e per negoziare bilateralmente condizioni commerciali e temi politici con i diversi interlocutori. Un primo esempio è l’intenzione dichiarata di imporre dazi a Canada e Messico in cambio di maggiore controllo sui flussi di migranti e sulle sostanze stupefacenti. Storicamente l’azione sui dazi non ha prodotto i risultati sperati sulla crescita dei settori che si vogliono proteggere; tuttavia, l’amministrazione sembra determinata a imporre tariffe importanti verso i paesi con surplus commerciale verso gli USA, in primis Cina (si parla di dazi al 60%) e diversi paesi emergenti, nonché dazi universali del 10% su tutte le importazioni.
Casagrande sottolinea anche come Trump voglia anche ridurre ulteriormente la tassazione sulle imprese e deregolamentare diversi settori produttivi, in primis il settore finanziario e quello dell’energia (quest’ultimo strategico anche da un punto di vista geopolitico). L’intento, qui, è favorire la crescita della produttività, soprattutto attraverso la deregolamentazione, stimolando gli investimenti privati.
Il contrasto all’immigrazione è stato uno dei temi più dibattuti in campagna elettorale. L’immigrazione è stato storicamente un fattore importante per la crescita della popolazione e della forza lavoro statunitense; recenti studi della Fed evidenziano come l’immigrazione netta abbia consentito, nel post-Covid, di soddisfare la domanda di lavoro da parte delle imprese senza esacerbare le già elevate tensioni inflazionistiche del sistema, nonostante il tasso di disoccupazione sia, ormai, a livelli naturali.
Quali conseguenze possiamo aspettarci dall’implementazione di queste politiche sui mercati finanziari?
Nel breve periodo i dazi e il controllo sull’immigrazione potranno generare tensioni inflazionistiche, mentre la deregolamentazione e, in parte, la fiscalità potranno produrre una spinta all’investimento e, quindi, alla crescita della produttività.
Nel medio periodo gli effetti dipenderanno molto dall’impatto sulla crescita, soprattutto se le politiche commerciali si rivelassero particolarmente aggressive.
Un tema molto importante sarà la gestione del deficit pubblico. Si stima, infatti, che il programma politico di Trump, se attuato pienamente, possa far crescere il rapporto Debito/PIL di oltre 40 punti percentuali rispetto ai livelli attuali nei prossimi dieci anni (portandolo quindi in area 160%), e questo soprattutto a cause delle minori entrate tributarie e delle maggiori spese per la difesa. Secondo queste stime del Committee for a Responsible Federal Budget, i dazi non saranno in grado di compensare le minori entrate fiscali. Chiaramente il maggior deficit e il debito crescente sono due elementi che impatteranno i tassi di interesse e, conseguentemente, le politiche monetarie.
Un altro tema importante il rapporto con la Cina, già in difficoltà a causa del rapido calo della popolazione e i livelli elevati di indebitamento. Un approccio aggressivo verso la Cina può avere conseguenze importanti sul tasso di cambio e più in generale sul mercato delle materie prime. Le aree maggiormente impattate dalla nuova amministrazione USA saranno quelle emergenti (oltre a Cina anche ad es. Messico, Corea), ma non possiamo trascurare gli effetti potenzialmente negativi per l’Europa derivanti da una contrazione del commercio internazionale e dei flussi con la Cina.
Un’area di particolare interesse è quella legata all’energia: un ulteriore aumento della produzione di petrolio degli Stati Uniti metterebbe ancora più in difficoltà l’accordo OPEC+ sui tagli alla produzione, con l’Arabia Saudita già costretta a livelli di produzione inferiori di circa il 20% rispetto a due anni fa al fine di sostenere il prezzo del petrolio.
Il dollaro, infine, tenderà verosimilmente a mantenersi forte verso le valute dei paesi colpiti dai dazi, mentre nel medio periodo anche in questo caso la dinamica dipenderà dagli effetti sulla crescita globale.
Infine il tema dell’inflazione rimane un tema molto importante.
L’inflazione si è ripresentata con forza a partire dalla seconda parte del 2021, dopo oltre 15 anni di dinamica molto contenuta. Il periodo post-Covid è stato caratterizzato dapprima da problematiche sul lato dell’offerta, con l’interruzione di diverse catene di approvvigionamento a causa dei numerosi e prolungati lockdown.
Successivamente abbiamo avuto una forte ripresa della domanda aggregata, in particolare dei consumi, a seguito delle riaperture e ai numerosi stimoli fiscali e monetari messi in piedi. Incremento di domanda e difficoltà dal lato dell’offerta hanno costituito un mix esplosivo per le dinamiche dei prezzi a livello mondiale, riportando elementi di ciclicità che sembravano un lontano ricordo.
Oltre a ciò, bisogna aggiungere, ci sono stati diversi fattori di natura geopolitica che hanno di fatto interrotto il processo di globalizzazione, innescando anzi la tendenza opposta: la guerra in Ucraina, il conflitto mediorientale, la posizione di paesi come Cina e India, il controllo delle materie prime fondamentali, ecc. tutti elementi che fanno pensare a un mondo multipolare con diverse “superpotenze” in competizione, se non in conflitto, tra loro. Un processo opposto alla globalizzazione che rischia, di conseguenza, di avere effetti opposti sulle dinamiche inflattive introducendo strutturalmente elementi di instabilità sui prezzi.
Tutti gli elementi citati non lasciano tranquilli per il 2025, soprattutto se consideriamo che i piani di Trump su dazi, tagli fiscali e restrizioni all'immigrazione aggiungono appunto rischi a medio termine.
Quali le opportunità di investimento per il 2025 alla luce di queste incertezze?
Secondo l'esperto di Generali Investments sul fronte azionario europeo vs azionario USA: Mentre le azione europee hanno performato meno bene rispetto a quelle USA per tutto l’anno 2024, siamo convinti che ci saranno delle opportunità in Europa nei prossimi mesi, soprattutto nei settori chiave esposti alle pressioni dell’amministrazione Trump
L'azionario cinese potrebbe beneficiare degli stimoli governativi implementati durante l’anno per rivitalizzare alcuni settori dell’'economia cinese. Un rischio chiave per il 2025 sarà determinato se l'inflazione riprenderà a salire e dove, determinando cambiamenti nelle correlazioni tra le azioni/obbligazioni come è successo nel 2022; quindi se dovesse succedere questo evento, gli investimenti nell’economia reale sarebbero da previlegiare, come l'oro che diventerebbe un importante diversificatore del portafoglio
Anche il private credit sarà un’opportunità per investitori istituzionali: il credito privato, con le sue varie sottoclassi di attività, è in una posizione favorevole per offrire ottimi rendimenti; in particolare la strategia definita Private Credit Secondaries potrebbe diventare una strategia permanente del Private Credit
Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, i bond dell’Eurozona offrono rendimenti più interessanti alla luce delle non ottime prospettive di crescita , fattore che limita i rischi di ulteriori aumenti significativi dei tassi. Questo ci fa propendere per un’esposizione in “sovrappeso” rispetto l’allocazione strategica per Bund e BTP italiani. Questi ultimi continuano a beneficiare di una situazione politica stabile e i progressi nell’aggiustamento del bilancio e crediamo che i BTP siano preferibili rispetto ai titoli di stato francesi.
Per quanto concerne il credito, le preoccupazioni sulle finanze pubbliche oltreoceano e sulla fragilità politica in Europa (specialmente in Germania) hanno favorito nel 2024 una riduzione degli spread, dato che molte imprese presentano per contro bilanci solidi e livelli elevati di cassa. Riteniamo che nonostante questi livelli bassi di spread sia comunque utile usare il credito per migliorare la redditività del portafoglio. Manteniamo il focus su quei titoli con la miglior combinazione spread e duration, preferendo cioè titoli con duration più bassa a parità di spread e altre condizioni.
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