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1/15/2024 | Daniele Riosa
“I mercati finanziari festeggiano l’arrivo del pivot della Federal Reserve, consegnato nell’ultimo meeting dell’anno da Jerome Powell”. Luca Vallarino, responsabile Trading Desk e gestore e membro del Comitato Investimenti di IMPact SGR, ricorda che “gli investitori si attendevano il cambiamento di tono della politica monetaria da circa un anno (alla fine del primo trimestre, alcuni si erano spinti a stimare due o tre tagli dei tassi già per la fine dell’anno in corso), cercando di anticipare in maniera ostinata la svolta accomodante. È in particolare dall’inizio del mese di novembre che i tassi hanno ripreso a scendere con convinzione, lungo tutta la curva dei rendimenti”.
Il manager spiega che “come si è già avuto modo di analizzare, il movimento sui tassi partito con l’inizio del penultimo mese dell’anno ha preso il via a seguito della diffusione dei dati di inflazione che confermavano un trend chiaro di decelerazione della dinamica dei prezzi, un ciclo economico che negli Stati Uniti provava a mostrare primi segnali di raffreddamento, la discesa del prezzo del petrolio in parallelo alla scampata escalation del conflitto medio-orientale e, non da ultimo, la riduzione di fabbisogno di offerta di debito pubblico da parte del Tesoro americano, rispetto alle previsioni dello scorso luglio. Nel corso del mese di dicembre alcuni membri del FOMC con le loro dichiarazioni hanno spinto il movimento al rialzo sulle obbligazioni. I discorsi di Waller, Goolsbee, Bowman (considerato uno dei maggiori falchi all’interno del Comitato) hanno tutti testimoniato la presa di coscienza dell’importante processo di disinflazione in atto (il più importante degli ultimi 71 anni, ha descritto Austan Goolsbee) e la possibilità di iniziare a discutere di tagli dei tassi. Il vero turning point è avvenuto tuttavia nell’ultima riunione del FOMC, lo scorso 13 dicembre. Nonostante all’inizio del mese il governatore Powell avesse cercato di raffreddare l’entusiasmo degli investitori dicendo che fosse chiaramente prematuro speculare su un taglio dei tassi, a distanza di un paio di settimane è stata aperta esplicitamente la porta alla riduzione dei Fed Funds nel corso del 2024 (“Il taglio dei tassi è stato chiaramente un punto di discussione”, ha dichiarato Powell in conferenza stampa). Ufficialmente abbandonata la retorica higher for longer, il problema non è più capire se avverrà, ma quando avverrà la prima riduzione del costo del denaro da marzo 2020”.
“L’inflazione - constata l’analista - sembra uscire dal focus della FED che ora è tutta concentrata sul rischio che l’economia entri in recessione, tanto che, come è stato risposto da Powell a un giornalista che gli chiedeva di chiarire il punto, è possibile iniziare a ridurre i tassi di interesse con un’inflazione ancora sopra il target del 2%, qualora l’economia lo necessiti e se la crescita dei prezzi si mantiene in un corridoio decrescente. La conferenza stampa della Federal Reserve ha decisamente sorpreso gli investitori per il tono accomodante, l’esplicita menzione alla concreta possibilità di un taglio dei tassi a breve e lo spostamento del focus dal tema dell’inflazione, e ciò nonostante il deciso abbassamento dei tassi d’interesse lungo tutta la curva dei rendimenti che ha avuto luogo nell’ultimo bimestre. La FED ha un duplice mandato istituzionale, a differenza della BCE e della maggior parte delle altre banche centrali del mondo, ossia garantire la stabilità dei prezzi e al contempo preservare la piena occupazione. Con la dinamica dei prezzi avviata verso il ritorno entro l’obiettivo di equilibrio, l’Autorità monetaria sta tentando ora di pilotare l’economia, preservandola da una fase di recessione. Del resto, la vera sorpresa del 2023 è stata la resilienza del ciclo economico, in particolare americano, che si è mantenuto in espansione, con un mercato del lavoro forte e una disoccupazione vicina ai minimi storici, nonostante 525 punti di rialzo del costo del denaro nel corso di meno di un anno e mezzo. Il timore del FOMC è che il ritardo della trasmissione della politica monetaria all’economia reale traghetti gli Stati Uniti verso la recessione il prossimo anno. Per impedire che ciò avvenga, dato che la FED deve proseguire a ridurre il proprio bilancio, è opportuno effettivamente iniziare prontamente a ridurre i tassi, per condizionare le aspettative ed abbandonare velocemente il territorio restrittivo”.
“I dati economici - prosegue il gestore - per ora tuttavia non sembrano suggerire un imminente collasso dell’economia americana. Il mercato del lavoro si è inaspettatamente addirittura rafforzato nel mese di novembre, con un tasso di disoccupazione al 3.7% (contro una previsione al 3.9%) e un incremento del numero dei nuovi occupati oltre le attese. I settori che continuano ad assorbire offerta di lavoro restano soprattutto la sanità e il settore pubblico (e in parte il settore leisure). Anche le vendite al dettaglio sono cresciute a novembre: una riduzione del costo dei carburanti ha regalato ai consumatori americani maggior potere d’acquisto in concomitanza con le festività di fine anno. A vedere questi dati, le dichiarazioni della FED (e la conseguente reazione dei mercati finanziari, che ora stimano ben sei tagli dei tassi, contro i tre presenti nel dot plot diffuso il 13 dicembre e la quasi certezza che sarà in marzo 2024 che si incomincerà con la prima riduzione dei Fed Funds) sembrano un po’ aggressive se l’economia americana si mantiene effettivamente in una traiettoria di soft landing. Probabilmente, nell’anno elettorale (anche se chiaramente Powell ha rigettato pubblicamente l’idea che il FOMC sia condizionato da valutazioni di tipo politico) viene ritenuto particolarmente cruciale per la Banca centrale pilotare il ciclo economico in modo da scongiurare il verificarsi di una crisi economica”.
Maggior cautela da parte della BCE: “Nel Vecchio Continente invece, il tono rimane decisamente più cauto. Aveva colpito la dichiarazione di Isabel Schnabel, che nelle scorse settimane aveva dichiarato che il calo dell’inflazione in area euro apparisse davvero significativo, lasciando quindi pochi argomenti per eventuali ulteriori rialzi dei tassi. All’indomani della conferenza sorprendentemente “da colomba” della FED, Christine Lagarde ha descritto l’azione della Banca centrale europea con toni marcatamente più sobri. Anzitutto, se Powell ha ammesso che il taglio dei tassi fosse stato chiaramente un punto di discussione all’interno del FOMC, la Presidente della BCE ha dichiarato in maniera perentoria che all’interno del Governing Council non si sia parlato affatto di riduzione dei tassi di interesse (“no discussion, no debate”). La BCE si mantiene dipendente dai dati e non da orizzonti temporali. Se è vero che l’inflazione sta scendendo, la componente domestica rimane forte, i salari reali sono in aumento negli ultimi mesi e, a causa di effetti base di confronto, nei prossimi mesi si assisterà verosimilmente a un nuovo incremento della crescita dei prezzi. Per questo motivo, è stato ribadito, non è possibile ancora abbassare la guardia e occorre attendere tutta una serie di dati che verranno diffusi nei primi mesi del nuovo anno, prima di capire effettivamente quale sia l’esito dell’azione di importante rialzo dei tassi conclusasi nel settembre 2023”.
L’economista ricorda che “sono state infine diffuse le previsioni sull’inflazione (abbassate rispetto alle precedenti), che mostrano comunque una crescita dei prezzi sotto il 2% solo nel 2026. Infine, è stato annunciata la conclusione del programma PEPP istituito con la pandemia di Covid-19. I reinvestimenti delle obbligazioni in scadenza nella prima metà del 2024 verranno effettuati in toto, mentre nella seconda parte dell’anno, la BCE ridurrà il proprio portafoglio PEPP di 7.5 miliardi di euro al mese per poi terminare ogni tipo di reinvestimento con la fine del 2024. Dal momento che la BCE è più indietro della FED nella riduzione del proprio bilancio, molti osservatori ritengono che l’accelerazione sul pedale del Quantitative Tightening sia prodromica all’avvio di un sentiero di riduzione dei tassi, che nonostante le parole dette nell’ultima conferenza stampa, la maggior parte degli analisti continua ad attendersi per il primo semestre del 2024. L’esclusivo obiettivo della BCE, mutuato sullo statuto della Bundesbank, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. È dunque comprensibile che prima di far uscire dal proprio focus il rischio di nuove fiammate inflattive, la Banca centrale europea voglia avere maggiori conferme sull’effettiva efficacia della trasmissione della politica monetaria all’economia. La crescita dell’output europeo è però, come mostrato da molti dati ormai, decisamente più fragile rispetto a quanto avviene negli Stati Uniti: il rischio è che un mantenimento di una politica restrittiva per troppo tempo possa contribuire a frenare la crescita delle economie dei Paesi dell’Eurozona, visto che oltretutto la leva fiscale si muove ora in territorio più convintamente restrittivo. Prima della riunione delle due banche centrali, il mercato prezzava 20 punti base di taglio di tassi in più per la BCE rispetto alla FED nel 2024, mentre dopo le conferenze stampa si è passati a 15 punti base in meno: 35bps di swing in meno di 24 ore. L’eurodollaro ha risentito della dicotomia nella retorica delle due Autorità monetarie, rafforzandosi fino a sfiorare quota 1.10”.
L’ottimismo della FED stupisce il mercato: “Per il resto, il mercato è rimasto decisamente più influenzato dalla sorpresa accomodante della FED, con i mercati obbligazionari in deciso rialzo: il decennale americano è tornato sotto il livello del 4% per la prima volta da fine luglio, mentre il bund tedesco decennale è tornato a rendere poco sopra il 2%, a livelli visti per l’ultima volta lo scorso marzo. Per restare in Europa, la curva dei tassi swap è scesa parallelamente nelle ultime tre settimane di mediamente 0.60%. I premi al rischio di credito si sono compressi in maniera significativa, sia sulla parte investment grade, sia sulla parte high yield. Sui mercati azionari, quello che si è notato è una maggiore omogeneità delle performance al rialzo. Con il cambio di postura delle banche centrali e la discesa generalizzata dei tassi d’interesse, sono tornati a salire anche i segmenti dei mercati equity che avevano accusato risultati relativi peggiori da inizio anno: alcuni esempi sono le piccole e medie capitalizzazioni sia negli Stati Uniti, sia in Europa, il settore farmaceutico e soprattutto le energie rinnovabili. Emblematica è la performance dell’indice di Golmand Sachs “Most Liquid Shorts” che è salita di oltre tredici punti percentuali in due sedute, a testimoniare il decisivo cambio di mindset a seguito della sorpresa dovish della FED. La cosiddetta breadth del mercato, ai minimi fino allo scorso novembre quando si segnalava una distanza siderale tra la performance delle cosiddette “Magnifiche 7” megacap americane e il resto dei componenti dei listini, sta ora complessivamente migliorando grazie al supporto offerto dalle aspettative di una possibile fase accomodante delle Autorità monetarie. Cionondimeno, la strada resta ancora lunga e il catch up che i segmenti del mercato azionario in underperformance devono realizzare rimane estremamente pronunciato”.
“Uno scenario “Goldilocks” con tassi in riduzione, inflazione in calo, piena occupazione e ciclo economico che si mantiene resiliente sarebbe ovviamente ideale per garantire un buon rialzo dei corsi azionari nella prima fase del prossimo anno”, conclude Vallarino.
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