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3/28/2023 | Daniele Riosa
“La scorsa settimana le montagne russe dei mercati finanziari sono state dominate dalle preoccupazioni per il settore bancario, dopo il fallimento di due banche negli Stati Uniti e l'acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS”. Steven Bell, chief economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments, valuta “le implicazioni di questo scenario per i tassi di interesse e i mercati finanziari”.
“Le preoccupazioni negli Stati Uniti - constata il manager - riguardano le banche americane di piccole e medie dimensioni, che sono state regolamentate in modo più blando rispetto alle controparti più grandi e offrono tassi di deposito non competitivi con i fondi del mercato monetario. La fuoriuscita dei depositi si è trasformata in un'alluvione e questo aggraverà la contrazione del credito, un processo già in atto ben prima dello scoppio dell'ultima crisi. Il credito alle imprese più piccole e, in generale, al settore commerciale immobiliare ne risentirà: è doloroso, ma fa parte del processo di trasmissione monetaria. L'irrigidimento delle condizioni di credito implicherà che la Federal Reserve non dovrà probabilmente alzare i tassi ufficiali più di tanto. Infatti, i mercati si aspettano forti tagli dei tassi prima della fine dell'anno e prevedono che inizino presto”.
“In Europa - prosegue l’esperto - lo squilibrio normativo è assente e non si è verificato lo stesso deflusso di massa di depositi. Le banche sono generalmente ben capitalizzate e molte banche europee stanno restituendo il capitale agli azionisti. Sembra che Credit Suisse sia un caso isolato. Lo stesso vale per le banche del Regno Unito e, sebbene le condizioni di credito si stiano restringendo in Europa, il ritmo è più graduale rispetto agli Stati Uniti”.
“Riteniamo che la crisi del credito negli Stati Uniti abbia ora avvicinato la recessione, sebbene l'economia sembrasse più forte prima della crisi. Mentre in Europa, il calo dei prezzi del gas naturale ha portato sollievo a consumatori, aziende e governi”, conclude Bell.
Per François Rimeu, senior strategist di La Française AM, “la situazione sembra ora preoccupante e invita alla cautela. La crisi bancaria che stiamo vivendo è un evento creditizio importante, ma in linea di principio non è in grado di modificare le previsioni di inflazione e crescita in misura sufficiente da indurre le banche centrali a interrompere il loro ciclo di rialzi dei tassi. Allo stesso modo, quanto accaduto lo scorso ottobre con i fondi pensione nel Regno Unito non ha avuto conseguenze di rilievo. Le banche centrali sono vigili e stanno mettendo in atto gli strumenti per spegnere l'incendio, ma non hanno intenzione di fermarsi. Il problema è che con il passare del tempo aumenta la probabilità di un evento del genere, con il ritorno della volatilità in modo molto violento. A questo proposito, è piuttosto raro assistere a un massiccio aumento della volatilità implicita dei mercati del reddito fisso senza che questo abbia un impatto significativo sulla volatilità di altre classi di attività o sui premi di rischio in generale. Tuttavia, questo è ciò che abbiamo visto nelle ultime due settimane e non è affatto certo che la prossima volta accadrà lo stesso”.
Jumana Saleheen, chief economist di Vanguard Europe, prevede che la politica sui tassi d'interesse dovrebbe tenere conto delle tensioni bancarie, nella misura in cui queste influiscono sulle prospettive d'inflazione e sui rischi collegati. Ad esempio, le banche più prudenti o con bilanci più deboli potrebbero reagire agli stress sul sistema bancario riducendo i finanziamenti. Se ciò accadesse, avremmo una diminuzione della domanda per consumi, con un impatto sull'inflazione. Tale sentiment è condiviso dal presidente della Fed Powell, il quale ha riconosciuto che la potenziale restrizione del credito può essere considerata come ‘l’equivalente di un aumento dei tassi, o forse più di questo’. Ritengo sia troppo presto per valutare in modo affidabile come le condizioni del credito abbiano reagito alle tensioni bancarie e quanto duraturi possano essere i cambiamenti. Nei verbali pubblicati dalla Boe si legge che ‘non è chiaro come le condizioni del credito e l'attività economica possano essere influenzate dalle recenti tensioni del settore bancario’”.
“Ciò che è certo - rileva Saleheen - è che i responsabili della politica monetaria abbiano discusso questi temi durante le loro riunioni strategiche. Sarebbero stati consapevoli degli errori di politica monetaria. La possibilità che le banche centrali procedano a un eccessivo inasprimento (aumentando i tassi più del necessario) rimane reale. Allo stesso tempo, esiste anche un rischio opposto: le banche centrali potrebbero non inasprire i tassi e non alzarli a sufficienza per contrastare un'inflazione persistente e ostinata. Le principali banche centrali hanno aumentato i tassi nonostante le recenti tensioni nel settore bancario. Tutte hanno confermato di avere strumenti alternativi per affrontare i rischi per la stabilità finanziaria e che non esiteranno a usarli. Sembra che tutte siano allineate alla regola di Tinbergen e per ora il lavoro è stato fatto bene”.
Antonio De Negri, ceo di Smart Bank, ricorda che "nelle ultime settimane i casi SVB e Credit Suisse hanno creato grande preoccupazione ricordando agli investitori più timorosi la crisi del 2008. Tuttavia, a nostro avviso l’intensità dello stress iniziale sulle banche di dimensioni medio-piccole sta diminuendo. Arriviamo a queste conclusioni basandoci sulle parole dei regolatori, che indicano una diminuzione delle richieste di debito di tali istituti rispetto alle aspettative, e anche dalle ricerche Google, le quali dimostrano una riduzione delle ricerche da parte dei consumatori sul fronte dello spostamento o ritiro fondi. Ciò sta anche a significare un minor rischio di corse agli sportelli nell’immediato. D’altro canto, però, non prevediamo che questa situazione di stress si esaurirà a breve. C’è ancora una buona probabilità che i maggiori clienti degli istituti più piccoli decidano di spostare i propri risparmi e investimenti in istituti di credito più grandi, andando a mettere in ulteriore difficoltà le piccole e medie banche che già devono affrontare un costo del capitale più alto, regolamentazioni più stringenti e una curva dei rendimenti invertita".
A livello macroeconomico, "questo restringimento del credito dovrebbe tradursi in una diminuzione di 0,25/0,50 punti percentuali sulla crescita del PIL degli Stati Uniti per quest’anno, che è a grandi linee lo stesso impatto che avrebbe un ulteriore aumento dei tassi di 25 o 50 pb. Allo stesso tempo non pensiamo che questa situazione andrà a impattare seriamente la quantità di prestiti rilasciati dai grandi istituti. Questo perché gli standard per ottenere prestiti sono stati già sostanzialmente irrigiditi negli ultimi mesi, e il fatto che il settore che maggiormente avrebbe potuto risentire di un ulteriore stringimento sarebbe stato quello dell’immobiliare commerciale, che però aveva già dato segnali intrinsechi di forti cali della domanda per uffici. Ci aspettiamo infatti che questa cali di circa il 30% entro il 2030".
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