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FED, le previsioni dei gestori sulle mosse del 2023

12/15/2022 | Daniele Riosa

Gli esperti si aspettano che Powell “manterrà i tassi fermi, ad un livello elevato, per la maggior parte dell'anno, fino a quando l'inflazione non convergerà abbastanza vicino al 2%”


“La ‘riduzione’ dei rialzi dei tassi negli Stati Uniti, con 50 punti base (bps) da parte della Federal Reserve il 14 dicembre, è avvenuta come previsto”. Samy Chaar, chief economist e Bill Papadakis, macro strategist di Lombard Odier, notano che “il presidente Jay Powell si è dimostrato disponibile a rallentare ulteriormente il ritmo nei prossimi mesi, osservando che è già stato effettuato un notevole inasprimento”.

“I dati relativi all'indice dei prezzi al consumo (CPI) di novembre - rilevano i manager - hanno mostrato ancora una volta che l'inflazione statunitense si sta dirigendo nella giusta direzione. La disinflazione è proseguita nel settore dei beni, dove le pressioni della catena di approvvigionamento, i costi di spedizione e la domanda dei consumatori continuano a diminuire. I prezzi dei carburanti e dell'energia continuano a scendere; i dati relativi all'assistenza sanitaria appaiono molto più favorevoli. Sebbene le proiezioni sull'inflazione della Fed siano state meccanicamente riviste al rialzo rispetto alle stime di settembre, per una volta non sembra che i rischi siano al rialzo”.

“Il presidente Powell - proseguono gli esperti - non ha reagito con forza all'allentamento de facto delle condizioni finanziarie che il rialzo dei mercati azionari ha prodotto, come invece aveva fatto dopo il precedente rally. Ciononostante, l'inflazione in alcune aree dei servizi ha registrato un'impennata e le componenti abitative sono ancora in forte crescita. Prevediamo che la Fed alzerà i tassi di 25 punti base in entrambe le prossime due riunioni, fino a raggiungere un picco di circa il 5% nel primo trimestre, in quanto mira a un ulteriore rallentamento del mercato immobiliare e del lavoro. Riteniamo che la Fed manterrà poi i tassi fermi, ad un livello elevato, per la maggior parte dell'anno, fino a quando l'inflazione non convergerà abbastanza vicino al 2%”.

“Le pressioni sui prezzi - concludono i gestori di Lombard Odier - richiederanno tempo per normalizzarsi. Vediamo i tassi fermi almeno fino agli ultimi mesi del 2023. A quel punto, l'inflazione dovrebbe essere scesa intorno o poco al di sotto del 3%, un livello al quale i tagli dei tassi appaiono più plausibili, e una storia che vediamo come predominante per il 2024”.

Matthew Ryan, responsabile della strategia di mercato della società di servizi finanziari di Ebury, rileva che "l'annuncio del FOMC è stato ampiamente in linea con le aspettative. Il tasso sui fed funds è stato aumentato di 50 punti percentuali, come ampiamente annunciato e previsto dagli operatori di mercato. Non ci sono state reali modifiche alla dichiarazione. Qquesto risultato può essere percepito come moderatamente falco, dato che alcuni investitori si aspettavano un ritocco dovish della forward guidance”.

“Anche le proiezioni sui tassi d'interesse della Fed - sottolinea il gestore - sono state un po' più ‘salutiste’ del previsto. Il ‘punto’ mediano per il 2023 è stato alzato al 5,1% (dal 4,6%), con tutti i membri tranne due che vedono almeno altri 75 pb di rialzo l'anno prossimo, leggermente più alto di quanto i mercati avevano previsto prima della riunione. L'aspetto più importante, tuttavia, è che la Fed non prevede di iniziare a tagliare i tassi fino al 2024, mentre la sua misura preferita dell'inflazione non dovrebbe tornare all'obiettivo prima della fine del 2025. Riteniamo che la Fed stia mantenendo aperte le sue opzioni e che potrebbe effettuare un altro rialzo di 50 pb a febbraio, prima di concludere il ciclo di inasprimento con una mossa di 25 pb a marzo”.

“La Fed - conclude Ryan - non prevede di tagliare i tassi per un po' di tempo, e questo potrebbe mantenere il dollaro ben offerto nel breve termine".

Secondo Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, "la Fed appare ancora impegnata nel tentativo di portare avanti le manovre restrittive cercando di non spaventare i mercati soprattutto nel delicato momento della chiusura d'anno, memore anche della cattiva esperienza di fine 2018".

"In prospettiva - prevede Cesarano - l'ipotesi è che il tasso di riferimento Fed possa raggiungere un picco in area 5%, cui farebbe seguito una pausa che interesserebbe almeno il secondo trimestre, in attesa di vera conferma di inflazione in ridimensionamento. Nel frattempo, il Cpi Core (oggi al 6%) ed il PCE core (oggi al 5%) potrebbero posizionarsi su livelli pari o al di sotto del livello di inflazione, dando luogo pertanto a livelli reali di tassi Fed Funds positivi, il che nel gergo della Fed potrebbe significare aver raggiunto un livello sufficientemente restrittivo. Nel frattempo, i salari saranno probabilmente la variabile chiave per decidere per quanto tempo tenere i tassi fermi in prossimità dell'ipotizzato picco".

Christian Schermann, economista statunitense di DWS, mette in luce che "anche in questo caso, i banchieri centrali mantengono la loro fiducia nella tenuta del mercato del lavoro, come suggerisce un aumento relativamente contenuto del tasso di disoccupazione previsto per il 2023 - al 4,6% dal 4,4%. La normalizzazione della politica monetaria è indicata solo dal 2024 in poi. Ma si prevede che avvenga in modo molto graduale, poiché i membri del FOMC intendono ridurre i tassi al 4,1% nel 2024 e al 3,1% nel 2025, quando l'inflazione dovrebbe finalmente convergere verso l'obiettivo della Fed. Durante la conferenza stampa il presidente della Fed Powell ha ribadito che i mercati del lavoro sono molto rigidi, come noi riteniamo, e che l'offerta e la domanda di lavoro sono sbilanciate e ha ripetuto il mantra che i tassi sono destinati a rimanere più alti ancora a lungo. I suoi commenti suggeriscono che la Fed non è ancora convinta che l'inflazione sia su un sentiero di discesa duraturo. Complessivamente, e contrariamente alle speranze di molti osservatori, Jay Powell non ha aperto spazi di dovishness e sembra valorizzare le dolorose lezioni apprese dalla Fed negli anni Settanta e Ottanta. Non c'è da stupirsi che la reazione iniziale dei mercati non sia entusiasmante".

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