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1/7/2021 | Redazione Advisor
Preparare il portafoglio dei clienti a una nuova normalità. Attenta asset allocation e selezione dei titoli saranno le due parole d'ordine, oggi più che mai.
Secondo l'analisi di Luke Bartholomew, senior economist, Aberdeen Standard Investments, con un 35% di probabilità, l'economia globale è destinata a tornare ampiamente allo stato pre-Covid. "I tassi di crescita tendenziale e il tasso di interesse di equilibrio (il tasso a cui la domanda e l'offerta di denaro sono uguali) assomigliano alla "nuova normalità" della stagnazione secolare giunta dopo la crisi finanziaria globale. L'inflazione media è inferiore. Entro il 2025 la crescita reale si stabilizza tendenzialmente sull'1,8% e l'inflazione dei prezzi al consumo sul 2%. Pur riconoscendo in questa previsione il nostro punto di partenza, esistono altri scenari possibili in cui l'inflazione è più alta o più bassa" spiega l'esperto.
Nel secondo scenario più inflazionistico, le banche centrali sarebbero indotte a rivalutare il quadro monetario. "Le autorità tentano di controllare la reflazione attraverso stimoli fiscali e monetari coordinati, il cosiddetto "helicopter money", che permettono all'economia di riprendersi creando un eccesso di domanda, che fa aumentare l'inflazione. Le banche centrali, tuttavia, continuano a adoperarsi per mantenere i prezzi stabili nel lungo periodo, per cui l'inflazione e le aspettative sull'inflazione rimangono ridotte. La crescita raggiunge il 2,4% nel 2025, con un'inflazione dei prezzi al consumo al 3,3%. Gli stimoli proseguono, mantenendo i tassi nominali all'1%, ovvero ben al di sotto del tasso di equilibrio del 3,5%. Questo scenario è ampiamente in linea con le misure politiche messe in atto da alcune banche centrali, tra cui la Federal Reserve (Fed) statunitense. Riteniamo tuttavia che la revisione della politica della Fed sia troppo timida per determinare un aumento delle aspettative sull'inflazione, pertanto la probabilità di questo scenario non supera il 20%" prosegue Bartholomew.
L'inflazione è destinata a rimanere bassa e le banche centrali accettano la cosa piuttosto che combatterla. L'esperto di Aberdeen SI commenta così: "Ritengono che gli effetti negativi di ulteriori stimoli siano superiori ai benefici e non perseguono la reflazione. Si accontentano quindi di un regime a bassa inflazione. Sia la crescita che l'inflazione si attestano sull'1,3% nel 2025. Poiché la Fed non cerca più di stimolare l'economia, i tassi di interesse sono all'1%, al di sopra del tasso di equilibrio dello 0,8%. Diamo a questo scenario una probabilità del 20%. Data la persistente debolezza della domanda e i vincoli posti dai quadri politici esistenti, le banche centrali e i governi potrebbero accettare che l'inflazione rimanga bassa a lungo. E in effetti, le autorità dell'Eurozona e del Giappone sembrano già andare in questa direzione".
Nello scenario disinflazionistico più estremo, la crisi determina un'ulteriore contrazione della crescita tendenziale, dei tassi d'interesse di equilibrio e dell'inflazione, il che porta a una "stagnazione secolare indotta dal doping". Questo scenario ha una probabilità del 12,5%. "L'economia globale risente del virus diventato endemico e del distanziamento sociale che limita in modo permanente l'attività economica oppure dei cambiamenti comportamentali che permangono anche dopo la scomparsa del virus. Le banche centrali fanno poco per combattere tale fenomeno. Nel 2025 la crescita si attesta solo allo 0,5% con un'inflazione allo 0%, il che riflette sia le profonde tendenze disinflazionistiche sia la difficoltà di generare una deflazione sostenuta" spiega lo specialista.
Il penultimo scenario ha una probabilità relativamente bassa pari al 7,5%. L'inflazione è leggermente più alta, grazie alle notizie positive sul lato dell'offerta. La crisi stimola una nuova ondata di innovazioni, aumentando la crescita della produttività e il tasso di crescita tendenziale. "I tassi di interesse di equilibrio aumentano. Poiché il miglioramento è dettato dall'offerta, l'inflazione non decolla, anche se le banche centrali hanno più margine di manovra per raggiungere i loro obiettivi in materia di inflazione. Il tasso di equilibrio sale al 3% e il tasso di riferimento statunitense si attesta solo al 2,5%, portando la crescita al 3% e l'inflazione al 2,3%" commenta ancora Bartholomew.
L'ultimo scenario degli esperti di Aberdeen SI comporta un'inflazione molto più elevata poiché la crisi generata dal Covid ha modificato radicalmente l'equilibrio tra politica monetaria e politica fiscale. "La politica fiscale diventa il principale strumento di gestione macroeconomica e sono i governi, piuttosto che le banche centrali, a fissare il livello dei prezzi. La politica monetaria rimane estremamente accomodante e il bilancio delle banche centrali viene utilizzato per finanziare la spesa pubblica. I tassi d'interesse nominali aumentano per far fronte all'incremento dell'inflazione, che aumenta drasticamente pesando sulle aspettative sull'inflazione. Dopo un primo slancio, la crescita diminuisce poiché i prezzi elevati e volatili pesano sull'attività economica. La crescita reale nel 2025 è pari solo all'1%, con un'inflazione al 6%. I tassi d'interesse reali sono al -5,5%, troppo bassi per contrastare la spirale inflazionistica. Le probabilità che ciò accada sono tuttavia solo del 5%" conclude.
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