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3/9/2020 | Daniele Riosa
“Con il mondo e i mercati concentrati sul coronavirus, neppure i produttori di petrolio sono riusciti a trovare un accordo”. Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, ricorda che “venerdì si sono interrotti i negoziati tra l’Opec e la Russia sul taglio della produzione. L’Arabia Saudita ha risposto tagliando il costo del barile, muovendo la prima mossa di quella che si configura come una guerra dei prezzi. Il prezzo del greggio è caduto del 25%-30%, aggiungendo un nuovo motivo di preoccupazione per i mercati”.
Per l’esperto “la guerra dei prezzi è raramente una buona idea. I sauditi stanno ripercorrendo una strategia che hanno tentato in passato con scarso successo. L’idea di fondo è spingere fuori dal mercato i produttori che hanno difficoltà ad abbassare i costi (specialmente gli Stati Uniti). L’ultima volta che ci avevano provato il sistema del credito aveva contribuito a tenere i produttori a galla. Probabilmente la convinzione è che questa volta sarà diverso. Da un punto di vista strategico, la mossa potrebbe anche essere letta come un tentativo aggressivo per convincere tutti i produttori - inclusa la Russia - a tagliare l’offerta”.
“Ovviamente – cocnlude l’economista - in una condizione di mercato straordinaria, come quella in cui ci troviamo, l’effetto di questo tipo di notizie è molto maggiore del solito. Il mercato del petrolio sta vivendo sia uno shock della domanda sia dell’offerta (con l’aumento tattico della produzione saudita) e le conseguenze sul prezzo sono quelle che vediamo in questi giorni. Si tratta di un taglio che ha delle conseguenze importanti sull’economia. Il petrolio rappresenta per molti settori una voce di costo rilevante o una fonte notevole di ricavi. Quando il prezzo si muove così tanto, si verifica un impatto che può essere positivo o negativo a seconda del comparto, rimescolando le carte e creando ulteriore incertezza”.
Randeep Somel, director of global equities, team equity di M&G Investments, mette in luce come il Coronavirus riveli le fragilità dell'alleanza Opec. “Il rapporto – spiega - si è logorato negli ultimi cinque o sei anni a causa della volatilità della domanda di petrolio e dell'economia globale. Ai problemi si è aggiunta una nuova offerta di petrolio portata sul mercato con l'avvento della fratturazione idraulica. Questo ha portato gli Stati Uniti a diventare il più grande produttore mondiale di petrolio e ha ancora maggiormente privato l'Opec della capacità di mantenere il prezzo attraverso il controllo degli approvvigionamenti. Tre anni fa l'Opec si è allargata a "Opec +" (aggiungendo paesi come Russia, Kazakistan e Messico), per permettergli di tenere sotto controllo l'offerta. Questo rapporto è collassato la scorsa settimana quando la Russia si è rifiutata di tagliare la produzione al fine di aiutare a mantenere il prezzo del petrolio, portando ad una forte risposta da parte dell'Arabia Saudita, la quale ha sostenuto che non avrebbe sopportato il peso dei tagli e che non avrebbe aumentato la propria produzione a basso costo”.
“La Russia – sottolinea Somel - ha adottato misure severe sul suo bilancio nazionale, il che significa che ora si trova in una posizione in cui può permettersi un prezzo del petrolio più basso. I produttori americani di shale oil, che hanno costi più elevati, sono stati aiutati dai bassi costi di indebitamento nel finanziare continuamente la loro produzione. Questo crollo del prezzo del petrolio danneggerà la loro capacità di accedere al debito. I produttori di shale oil in genere coprono la produzione da 6 mesi a 1 anno in anticipo, quindi i tagli dell'offerta non saranno immediati se il prezzo del petrolio rimarrà a questo livello, ma arriveranno”.
Shamik Dhar, chief economist di BNY Mellon Investment Management, evidenzia come “la domanda di greggio era già debole a causa dell’impatto del Coronavirus, pertanto la decisione dell’Arabia Saudita di aprire i rubinetti ha determinato uno shock aggiuntivo dal lato dell’offerta. Al momento non sembra che questo sviluppo sarà limitato al breve periodo, anche se è difficile prevedere quanto durerà. Il calo del prezzo del barile è positivo per i Paesi che importano petrolio: si stima che, per ogni 10 dollari di riduzione del prezzo, ci sia un trasferimento dello 0,3% del PIL globale dai Paesi produttori a quelli consumatori. Pertanto, se questi ultimi dovessero incrementare i consumi più di quanto i Paesi produttori taglino i propri investimenti, l’effetto netto sarebbe positivo per l’economia globale”.
Lo stimolo “non sarà forse sufficiente per stabilizzare l’economia globale dinanzi all’impatto del Covid-19, ma i prezzi bassi del petrolio potrebbero creare uno scenario favorevole quando gli effetti del virus saranno passati. D’altro canto, il calo del barile aumenta l’incertezza sui mercati, e ovviamente gli eventi odierni dimostrano che gli investitori hanno già molti timori”.
“È probabile che il 2020 si chiuda con un sensibile rallentamento della crescita globale. Il lato positivo della situazione è che le emissioni globali di Co2 dovrebbero diminuire nel corso dell’anno, anche se il minor prezzo del petrolio potrebbe moderare marginalmente tale riduzione”, conclude Dhar.
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