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2/29/2020
L’Italia è divisa in due: da un lato c’è chi non vuole fare altro che parlare di Coronavirus, dall’altro c’è chi si dichiara stufo di affrontare l’argomento al punto da dichiararla una finta emergenza. In mezzo ci sono, come sempre, i numeri che con la “fredda razionalità” che li caratterizza dipingono il quadro della situazione. E, se penso alle domande che sono arrivate - e che sicuramente arriveranno - da parte dei clienti dei consulenti finanziari e dai consulenti stessi credo valga la pena concentrarsi, ora, sui numeri.
Da un lato ci sono quelli relativi alla diffusione del COVID-19. In Italia ci siamo concentrati sui dati nazionali (che al momento della chiusura di questo articolo ammontano a 650 contagiati di cui 17 deceduti, 45 guariti, 248 ricoverati con sintomi, 284 in isolamento domiciliare, 37 in terapia intensiva, fonte: Protezione Civile, ndr), ma se allarghiamo lo sguardo a livello globale parliamo di 83.719 casi, di cui 2.858 deceduti e 36.652 ricoverati, con una diffusione in più di 60 paesi (elaborazione dati della Johns Hopkins University su fonti WHO, CDC, ECDC, NHC e DXY, ndr.).
Cifre che inevitabilmente hanno inciso e incideranno sui dati economici che, da un punto di vista operativo, iniziano a preoccupare clienti e consulenti. Su questo fronte, in Italia, abbiamo visto il FtseMIB perdere in 5 giorni più di 10 punti percentuali allontanandosi da quel traguardo dei 25.000 punti che non si vedeva dal 2008 e che, a questo punto, non sappiamo quando lo rivedremo. Una frenata che ha toccato anche altre piazze finanziarie europee e non solo. Due cifre su tutte: il -10% dell’Eurostoxx 50 e il -8% circa dello S&P 500. Insomma si può credere o meno all’allarme di recessione globale annunciato da Moody’s, ma di certo un’effetto sull’economia mondiale c’è stato e ci sarà.
Cosa dicono i numeri quindi? Che serve razionalità e prudenza. O come afferma correttamente Alessandro Fugnoli nel suo ultimo report Il Rosso e il Nero, prudenza e pazienza, perché “Il ribasso attuale delle borse, del 10 per cento, può apparire sufficiente a chi ha ansia di entrare o rientrare nel mercato” scrive lo storico strategis di Kairos. "Ricordiamo però che avrebbe potuto accadere, anche in assenza di epidemia, per il semplice sovraccarico di posizioni rialziste dopo sei mesi di corsa senza sosta. Per avere un punto realistico di rientro bisogna aspettare che il livello di allarme in America raggiunga almeno quello che stiamo vivendo oggi in Italia, dove peraltro i casi, a ben vedere, sono ancora pochi”.
Da qui l’invito alla pazienza. Ma se proprio fate parte del club di coloro che non vogliono più sentire parlare di Coronavirus, allora ripartite pure a investire ma con una consapevolezza: “Chi entra ora deve essere pronto a sopportare due mesi di dati macro in declino e un primo trimestre di dati corporate non certo brillanti” spiega Fugnoli che invita, ad esempio, a considerare “anche quello che sta accadendo in queste ore in Cina, dove al rientro al lavoro in alcune regioni corrisponde, come si poteva immaginare, una recrudescenza dell’epidemia”. Insomma i numeri non mentono e quelli macroeconomici dei prossimi due mesi ci diranno se davvero dovremo affrontare un rischio serio di “recessione globale” o se invece l’onda dell’epidemia ha solo imposto una piccola deviazione.
Una cosa è certa: di Coronavirus, soprattutto per chi si occupa di sanità ed economia, ne dovremo parlare. Quello che è importante, adesso è farlo con metodo. Quale metodo? Il suggerimento arriva dal passato, da quell’opera che tutti abbiamo studiato e che tanti oggi citano “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Permettetemi di fare lo stesso perché davvero, come ha suggerito in questi giorni il preside del Liceo Volta di Milano, Domenico Squillace, ai suoi studenti, in quell’opera c’è la sintesi delle reazioni che abbiamo registrato in queste settimane e del metodo da seguire per affrontare questa situazione a livello professionale (ma anche nel nostro quotidiano): “In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro. […] Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire”.
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