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11/18/2019
In 12 mesi possono cambiare molte cose soprattutto quando si parla di mercati finanziari. L'inasprimento delle politiche monetarie da parte delle Banche centrali non si è rivelato vincente né una soluzione perseguibile tanto che si è reso necessario un passo indietro.
Ne abbiamo parlato con David Older, responsabile azionario di Carmignac, il nostro Gestore della settimana.
Abbiamo parlato ormai più di un anno fa. Potrebbe indicarci i cambiamenti più significativi nel mercato?
Alla fine del 2018, quando si è visto chiaramente che l'inasprimento della politica monetaria da parte della Fed era incompatibile con il rallentamento dell'economia mondiale, i mercati hanno riportato un sell-off. Quando, a inizio 2019, la Banca centrale statunitense si è resa conto di aver commesso un errore, i mercati sono tornati ai livelli precedenti al sell-off toccati a settembre 2018, per poi rimanere sempre all’interno del range. Il calo è stato attenuato dalla percezione del mercato di una doppia assicurazione: l’approccio della Fed e quello di Trump. Tuttavia la ripresa delle performance è stata limitata dall’incertezza relativa alla politica commerciale, dai danni causati all'economia globale - con il ciclo economico statunitense che si è progressivamente allineato alla recessione mondiale - e dalla Fed che è rimasta ostinatamente dietro la curva. Mentre ci addentriamo nell'ultimo trimestre del 2019, è interessante sottolineare i segnali di resa da parte della Fed, che sta avviando una sorta di QE mascherato. Questo fattore potrebbe avere un significativo impatto negativo sul dollaro, il che sarebbe sufficiente a fornire ulteriore supporto agli asset rischiosi, ovvero i mercati emergenti, l’asset class che ha sofferto maggiormente della scarsità del dollaro negli ultimi 20 mesi.
Cosa pensa delle tensioni commerciali, anche in relazione alla nuova escalation tra Stati Uniti ed Europa?
Le tensioni commerciali sono un’aggravante del rallentamento globale, pertanto rappresentano ovviamente un fattore di apprensione. Tuttavia, la contrapposizione tra USA e Cina ha rivelato che in materia di dazi, la diplomazia è inefficace e può persino rivelarsi una mossa controproducente. Pertanto, non dovremmo sopravvalutare il rischio che tale politica sia attuata ancora per diverso tempo, soprattutto nell’anno delle elezioni presidenziali statunitensi.
Quanto ha influito la "guerra commerciale" sul settore tecnologico?
Riteniamo che le tensioni commerciali legate alla tecnologia tra Stati Uniti e Cina continueranno probabilmente nel prossimo futuro, in quanto le questioni tecnologiche hanno una componente legata alla sicurezza nazionale. Di conseguenza, riteniamo che probabilmente vedremo emergere due ecosistemi per il comparto tecnologico, una guidato dalla Cina e l’altro al di fuori della Cina, guidato dagli Stati Uniti. Se da un lato abbiamo un'esposizione significativa alle società cinesi focalizzata sulle opportunità secolari del mercato domestico, dall’altro abbiamo evitato attivamente le aziende tecnologiche cinesi che fanno affidamento sulla tecnologia statunitense per i loro prodotti, o che dipendono dalle esportazioni per le loro vendite. È importante sottolineare che, al di fuori dell'industria dei semiconduttori, le aziende statunitensi attive nel settore della tecnologia hanno oggi un'esposizione minima alla Cina.
Nel 2018, i mercati emergenti hanno rappresentato un'opportunità. Pensa lo stesso anche quest'anno, nonostante i recenti eventi in Turchia o le tensioni riguardanti Hong Kong?
Come affermato in precedenza, nel 2018 la politica monetaria della Fed si è rivelata un forte ostacolo per i mercati emergenti. Quest’anno le tensioni politiche si sono sicuramente manifestate in diverse parti dell'universo dei mercati emergenti, ma il driver di liquidità del dollaro è stato almeno in parte attenuato, consentendo ai mercati emergenti di riprendersi in qualche modo. Resta il fatto che il ciclo globale ha continuato a deteriorarsi e, anche se le tensioni commerciali si attenuano, per riportare sovraperformance i mercati emergenti necessitano di una crescita globale in termini di dollari statunitensi. L’eventuale conferma dell’inversione di rotta della politica della Fed in merito all’offerta di liquidità potrebbe rappresentare un game changer, fattore che, da qui in avanti, potrebbe anche diventare un significativo ostacolo per i mercati emergenti. Questo aspetto va monitorato attentamente.
In questo momento qual è la composizione del suo portafoglio ideale?
Per il 2020 non siamo ancora in grado di stabilire se il mondo occidentale continuerà il suo percorso verso una crescita più bassa o se si impegnerà a mettere in pratica un convincente sforzo di reflazione attraverso una politica fiscale meno rigida, con un minimo di monetizzazione del debito sovrano da parte delle banche centrali. In entrambi i casi, tuttavia, data la pressione secolare dei dati demografici, dei livelli di indebitamento e della tecnologia, riteniamo che ci siano poche possibilità che si verifichi uno scenario con tassi di interesse materialmente più elevati e una forte ripresa economica. Pertanto, continuiamo a credere che sia opportuno costruire portafogli azionari basati su società in crescita caratterizzate da alta visibilità degli utili. È opportuno sottolineare che, visti i trend dei tassi obbligazionari e delle valutazioni azionarie, e il fatto che la Fed sta finalmente iniziando a far sentire la sua voce, riteniamo essenziale rafforzare il peso del fattore “valutazione” nel nostro processo di selezione azionaria.
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