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4/5/2018
Il ciclo positivo sta per concludersi? La strada ha delle tappe: un crollo degli spread di credito e un’inversione della curva dei rendimenti, lasciando poi il posto a un picco dei titoli azionari e, infine, a una recessione.
Witold Bahrke, senior macro strategist di Nordea Asset Management è del parere che i mercati abbiano già superato la prima tappa. Pur in assenza di segnali di panico, il credito ha sottoperformato nel primo trimestre e gli spread si stanno muovendo sempre più al ribasso, mentre i default nel segmento high yield dovrebbero aumentare con l’inversione del ciclo di credito.
Il secondo traguardo intermedio potrebbe arrivare nei prossimi mesi del 2018, con un ulteriore appiattimento e un’inversione della curva dei rendimenti statunitensi nel secondo semestre.
Il raggiungimento della vetta per l’azionario, secondo gli esperti di Nordea, è già per quest’anno. Le valutazioni estreme, infatti, potrebbero determinare un ribaltamento della causalità dallo scenario macroeconomico ai mercati. Ciò significa che i mercati diventerebbero il rischio principale per l’outlook macroeconomico, che quindi non riuscirebbe più a mantenere viva una fase rialzista, seppure in corso di esaurimento.
Addio bassa volatilità. Il capo della Federal Reserve Bank di New York, William Dudley, ha commentato tale turbolenza definendola un “pesce piccolo”, cosa che racchiude in sé un messaggio fondamentale: la banca centrale statunitense è felice della correzione. La Fed dovrebbe quindi continuare a inasprire la sua politica, senza più sostenere il mercato.
L'aumento della volatilità andrà di pari passo con l’inasprimento monetario è destinato a durare nel tempo, anche l’aumento della volatilità proseguirà, portando con sé un calo dei rendimenti rettificati per il rischio in quasi tutte le asset class nel 2018. In secondo luogo, a febbraio, le correlazioni fra rendimenti e azioni sono diventate negative. A differenza di gran parte del 2017, l’aumento dei tassi è stato accompagnato da un calo delle azioni, a segnalare che potremmo essere vicini alla “soglia del dolore” dei tassi e della solidità sottostante dell’economia, malgrado i tassi reali e nominali siano ancora storicamente bassi. Una soglia del dolore bassa, che è un chiaro indice di prevalenza di uno scenario di scarsa crescita. Osservato da questo punto di vista, un contesto di bassi tassi d’interesse si rivela particolarmente tenace, poiché un’eventuale impennata destabilizzerà i mercati e rallenterà l’espansione, spingendo i tassi ulteriormente al ribasso: in pratica, un meccanismo di auto-correzione. A lungo termine, i tassi d’interesse non dovrebbero discostarsi molto dai livelli attuali. Con le valutazioni di gran lunga più interessanti rispetto a qualche mese fa, l’universo core a reddito fisso offre nuove opportunità.
In terzo luogo, i mercati sono più nervosi riguardo ai rischi d’inflazione. Se il 2017 è stato un anno di accelerazione della crescita e calo dell’inflazione, infatti, il 2018 sembra preannunciare un tracciato opposto: rallentamento dell’espansione e aumento dell’inflazione. Sebbene i fattori strutturali stiano tenendo a freno l’inflazione a lungo termine, il rischio di un’impennata nel breve periodo è sempre più probabile. Da parte nostra, crediamo che non esistano scappatoie dallo scenario di bassa inflazione. Tuttavia, non escludiamo un rialzo ciclico nei prossimi mesi, che lascerà verosimilmente gli investitori sulle spine. I tagli fiscali promossi da Trump stanno alimentando la tensione riguardo all’inflazione. L’economia statunitense sta procedendo alla massima velocità e ulteriori stimoli favorirebbero un aumento dei salari oltre la crescita reale, spingendo la Fed a inasprire il suo approccio con maggiore veemenza, asciugando una volta per tutte le lacrime della “stagflazione”.
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