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Cresce la fama dei fratelli minori degli emergenti

12/21/2016 | Redazione Advisor

I frontier markets guadagnano popolarità, e sempre più spesso vengono considerati una asset class.


Per ottenere un buon risultato in termini di diversificazione e miglioramento del profilo rischio/rendimento “può essere sufficiente allocare nei frontier markets il 5% -10% della quota di portafoglio destinata alla componente azionaria”. È questa l’opinione di Andrea Federici, investment manager di Banor Capital e gestore del fondo Aristea SICAV New Frontiers Equity Fund. Un fondo che si prefigge come principale obiettivo quello di trovare le migliori opportunità in quella che Federici stesso definisce come una nuova “asset class”.

 

Quali sono le opportunità di investimento nei mercati emergenti?
Il panorama dei mercati in via di sviluppo è molto variegato e ricco di opportunità che però devono essere esaminate con attenzione. Espansione economica e affermazione della classe media costituiscono i principali fattori di attrazione per l’investitore con un’ottica di lungo periodo.Guardiamo con molto interesse al sud-est asiatico e al subcontinente indiano e tendiamo a privilegiare le aziende operanti nei settori dei consumi e delle telecomunicazioni, dove le dinamiche demografiche e le riforme socio-economiche sostengono la crescita.

 

Avete recentemente presentato al mercato un fondo focalizzato sui  frontier markets. Ma esistono ancora mercati di frontiera?
Recentemente tra i mercati emergenti si sta distinguendo una vera e propria asset class separata: i frontier markets. Si tratta di mercati più piccoli e meno accessibili rispetto ai loro “fratelli maggiori”. Paesi come Vietnam e Kenya hanno un coefficiente di correlazione con i mercati sviluppati ed emergenti tra lo 0,25 e lo 0,30. Ci sono addirittura alcuni mercati azionari correlati negativamente: è il caso del Bangladesh, che presenta coefficienti di correlazione che si aggirano intorno a -0,20. L’obiettivo del nuovo fondo Aristea New Frontiers è offrire all’investitore un’alternativa di diversificazione di portafoglio attraverso l’esposizione a mercati dalle enormi potenzialità, ma di difficile accesso.

 

Quali rischi si corrono quando ci si avvicina a questi mercati? 
I singoli frontier markets possono essere esposti a elevati rischi idiosincratici, legati in particolare a eventuali instabilità politiche. La modalità che privilegiamo per la gestione di tali rischi è la diversificazione a livello geografico e settoriale. Infatti, in un portafoglio ben diversificato costituito da frontier markets i rischi connessi ai singoli paesi vengono fortemente mitigati. L’evidenza empirica mostra che gli effetti di contagio tra i frontier markets sono molto limitati come dimostrano correlazioni intra-paese molto basse e a volte addirittura negative. 
Il rischio può essere ulteriormente gestito privilegiando titoli legati ai driver di crescita locali, limitando l’esposizione a possibili settori più sensibili a rischi sistemici, come titoli bancari e aziende attive nell’estrazione ed esportazione di materie prime. Inoltre, la particolare micro-struttura dei frontier markets necessita di un’attenta analisi e gestione della liquidità del portafoglio. Il nostro processo di selezione privilegia costantemente quei titoli in cui la liquidità è sostenuta dalla presenza di investitori specializzati di grandi dimensioni. 

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