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"Vi spiego il fascino dei mercati di frontiera"

6/23/2014 | Massimo Morici

Lo scorso anno hanno sovraperformato l'indice globale e l'attrazione per questi mercati continuerà anche quest'anno, sottolinea Marcus Svedberg capo economista di East Capital.


Nel 2013 gli investitori sono stati molto interessati ad aumentare la propria esposizione sui mercati di frontiera che, grazie a gli afflussi, hanno sovraperformato l'indice globale di 10 punti percentuali dall'inizio del 2013, mentre nello stesso periodo i mercati emergenti hanno sottoperformato di 25 punti lo stesso indice: i primi insomma sembrano essere più convenienti, più sicuri o che stiano crescendo più rapidamente rispetto ai secondi. Continuerà, dunque, anche quest’anno l’attrazione degli investitori per i mercati di frontiera? 
 
“Riteniamo che possa essere davvero così, ma crediamo anche che sia importante guardare oltre il sentiment generale e gli indici artificiali” spiega Marcus Svedberg (nella foto), capo economista di East Capital. “Investire nei mercati di frontiera - prosegue - può essere davvero vantaggioso, ma allo stesso tempo anche rischioso. Restiamo convinti, poi, che un approccio di lungo periodo basato sull’analisi dei fondamentali e sulla diversificazione sia importante per gli investimenti nei mercati di frontiera come per quelli emergenti, se non addirittura più importante”.
 
Secondo il capo economista di East Capital si deve scavare più a fondo o guardare altrove per capire il reale fascino dei mercati di frontiera. A partire dalla composizione dell’universo dei mercati di frontiera, che “è un’ulteriore fonte di attrazione”. Il principale indice azionario di frontiera, ricorda Svedberg, è stato appena ribilanciato, con la promozione di due dei suoi più grandi mercati - Qatar ed Emirati Arabi Uniti – all’interno dell’indice degli emergenti. “Questo, tuttavia, non è solo un segnale di successo, ma rappresenta anche la massima dimostrazione di progresso e, inoltre, significa che l’indice di frontiera avrà una migliore distribuzione a livello regionale” sottolinea Svedberg.
 
Nello specifico, a seguito del ribilanciamento, il peso del Medio Oriente passerà dal 59% al 36%, anche se il cosiddetto EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) costituisce ancora l’80% dell’indice dei mercati di frontiera (in calo dall’87%): le società del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Est Europa sono predominanti all’interno del benchmark. “Questo addirittura senza che alcuni dei più grandi mercati di frontiera dell’EMEA siano inclusi nell'indice: Arabia Saudita, Iran ed Egitto non sono inclusi, ma hanno all’incirca la stessa capitalizzazione di mercato (locale) che ha oggi l’intero indice” conclude Svedberg.

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