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Anche l'Irlanda si rimbocca le maniche

3/20/2013 | Redazione Advisor

Secondo Anthony Doyle, team fixed income M&G, le riforme non hanno salvato il paese. Servono stimoli, non austerità


Dove eravami rimasti? Nel novembre 2010, l’Irlanda è fallita. La promessa del governo di tutelare i creditori delle banche si è tradotta così in un aumento insostenibile del debito pubblico. Impensabile, dunque, che il Paese possa far fronte ai propri impegni, soprattutto dopo che i rendimenti dei titoli di Stato a 8 anni sono saliti oltre il 7% (in seguito supereranno il 15%). L’Irlanda si rivolge, di rimando, alla Commissione europea, all’Unione Europea e al Fondo monetario internazionale (la cosiddetta Troika).


Ecco che, dopo lunghe trattative, quando i tassi obbligazionari hanno ormai raggiunto livelli record, l’Irlanda riceve un pacchetto di aiuti di 67,5 miliardi di euro. In cambio, il governo si impegna a riorganizzare e ridimensionare il settore bancario in proporzione all’economia del Paese. Il programma di aiuti triennale si concluderà a fine 2013.


Si sperava che grazie alle riforme innescate, l’Irlanda sarebbe tornata a finanziarsi sui mercati internazionali. E così è stato: lo scorso gennaio il governo ha emesso 2,5 miliardi di euro di bond in scadenza nel 2017 a un tasso del 3,32%. Per il 2013 è inoltre previsto il lancio di un titolo di riferimento decennale ed eventualmente di un linker.  L’Irlanda non può usare gli aiuti ricevuti dalla Troika per varare politiche di stimolo economico. I fondi inviati a Dublino sono destinati alle banche e, in ultima analisi, ai loro obbligazionisti. Il comune cittadino non vede un centesimo. Eppure, il salvataggio avrebbe potuto favorire il contribuente evitando misure di austerità ancora più rigide.  


E a questo punto, l’economia reale come sta andando? Secondo Anthony Doyle, del team fixed income M&G, come prevedibile, i dati indicano nella migliore delle ipotesi una debole ripresa. Nei dodici mesi al settembre 2012 il PIL irlandese ha registrato una crescita dello 0,8% nonostante un’elevata disoccupazione e l’austerità fiscale.


Analizzando i settori che contribuiscono all’espansione economica, constatiamo qualche progresso nelle aree aggregate della distribuzione, dei trasporti, dei software e delle comunicazioni. La debolezza dell’euro, soprattutto contro il dollaro (il mercato statunitense rappresenta il 24% circa dell’export), avrà un ruolo positivo, ma non è sufficiente. Le industrie più importanti per il Paese (come quella farmaceutica), ad alta intensità di capitale, hanno solitamente pochi dipendenti. Inoltre, il capitale sociale è in mano soprattutto agli investitori esteri e i profitti finiscono quindi oltre confine.


Se l’Irlanda continua ad attaccare la bandiera all’albero dell’austerità, nei prossimi dieci anni sarà difficile veder rifiorire il sorriso sulla bocca degli Irlandesi.

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