L'importanza di chiamarsi BRIC. Per le economie dei mercati emergenti è tempo di bilancio, e a fare il punto su traguardi e insuccessi è Jim O'Neill, dimissionario presidente di Goldman Sachs Asset Management (resterà fino alla fine dell'anno). Nella newsletter del 18 marzo, specifica che "le economie BRIC stanno fronteggiando, individualmente, più sfide di quelle di un tempo". Infatti, aggiunge O'Neill, c'è chi crede o chi ha creduto che i mercati emergenti abbiano sottoperformato e deluso le aspettative nei tempi recenti. Vero, perché i dati dimostrano un trend in declino rispetto ai tempi d'oro della fascia 2001-2010 (un'era che vantava un andamento dell'8,1%). Falso, se si prende lo scenario sotto un aspetto più collettivo (dal 2010 al 2012) in cui i BRIC sono comunque cresciuti a ritmo sostenibile. 

 

Se l'economia cinese resiste e resta dominante, la portata di altri paesi, tra cui Brasile, India e Russia rimane inclusa nella top 10 delle economie più forti al mondo, e il loro 2,3 trilione di dollari in termini di crescita nel 2011 si è rivelato capace di istituire praticamente una seconda Italia quell'anno. Ridimensioniamo il giudizio sulle performance dei BRIC dunque, e se proprio dobbiamo puntare il dito meglio farlo su Brasile e India, indeboliti dalla crisi. 
 

 

Non manca una riflessione su Cipro e sulle questioni che andranno a mordere i piccoli risparmiatori, tanto da costringere gli investitori a non fidarsi più delle decisioni dei politici europei, allontanandosi dal meccanismo che fino a poco tempo fa era sinonimo di solidità.  Lo sguardo sulla settimana appena conclusa è colorato di costanti rialzi del Dow Jones e dai record polverizzati dalla borsa di Wall Street.