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1/30/2013 | Massimo Morici
Le clausole di azione collettiva (class action) possono contribuire a ridurre i rendimenti dei titoli di Stato, soprattutto quelli emessi da paesi con un rating di fascia media. È quanto emerge in un recente studio di Bankitalia, che ha analizzato i rendimenti mensili sul mercato secondario da marzo 2007 ad aprile 2011 di titoli pubblici denominati in dollari emessi da paesi con differente merito di credito.
Secondo lo studio, in particolare, la presenza di queste clausole consentirebbe “a una maggioranza qualificata di investitori in obbligazioni di modificare i termini di pagamento di un titolo, in maniera giuridicamente vincolante per tutti i detentori del titolo stesso, in modo da facilitare una ristrutturazione ordinata del debito”.
Gli investitori, quindi, sembrano dunque attribuire, per livelli intermedi di rating un ruolo utile
per le clausole di azione collettiva, che saranno inserite a partire dal gennaio del 2013 in tutte le emissioni di titoli sovrani (con durata iniziale superiore a un anno) nei paesi dell'Eurozona secondo un modello standardizzato, che garantisce gli stessi effetti giuridici nei diversi paesi dell'aera.
Diverso, invece, sarebbe il ruolo di questo strumento giuridico per gli emittenti con un elevato merito di credito o al contrario con uno standing creditizio molto basso: l’assenza di effetti significativi nel primo caso, spiega Bankitalia, “potrebbe essere dovuta al fatto che, per essi, la probabilità di default è troppo bassa perché emerga un valore apprezzabile alle clausole di azione collettiva”. Per i paesi con merito di credito più basso, invece, sembra che i possibili timori di un uso opportunistico di queste clausole “compensino, almeno in parte, i benefici di una ristrutturazione ordinata”.
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