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Gestori - È sempre meglio giocare in casa

6/8/2011 | Federico Leardini

Non c’è alcun bisogno di andare in Cina e scommettere su marchi ignoti per beneficiare dei cambiamenti dell’economia locale


 

Uno scenario in miglioramenteo ma che presenta ancora moltissime insidie; è questo in estrema sintesi il quadro dell’Europa che cerca, da un lato di tornare ai livelli di produttività anticrisi (e in alcuni casi ci riesce), dall’altro arranca tra austerity, polemiche sociali e richieste di aiuto alla ricerca di uscire dalla spirale del debito pubblico. Sullo sfondo un mercato dei titoli di stato che è ormai spaccato in due tra rendimenti alti, ma con profilo di rischio particolarmente elevato e rendimenti sostanzialmente nulli per i titoli sicuri delle economie guida dell’Eurozona. Da contro un mercato azionario che, nonostante stia già mostrando uno stato di buona salute promette di presentare nuove occasioni di investimento e viene sempre più visto come un porto a cui approdare, a patto di disporre di uno skipper abile ed esperto.
 
Posta questa premessa le opportunità non mancano, come conferma l’head of Europe equity di BNP Paribas, Andrew King: “La maggior forza che un investitore può avere è quella di conoscere al meglio il terreno di gioco e gli avversari che può incontrare nei propri investimenti”. La stessa regola che vale nello sport, relativamente al vantaggio di giocare in casa, è trasportabile al mondo della finanza, secondo Andrew King.
Parole chiare, che confermano come lo scenario europeo abbia ancora molto da offrire, specie tenendo d’occhio le novità che la particolare situazione finanziario/politica delle periferie può presentare: “Siamo in un momento di profondo mutamento per molti mercati”, afferma il capo investimenti nel vecchio continente della banca francese, “complice la crisi appena passata e il percorso di aggiustamento che ne deve necessariamente far seguito molti settori in molti paesi vivranno una fase di consolidamento. In scia a questo fenomeno molte imprese, soprattutto molte banche, di dimensioni minime saranno inglobate in istituti di respiro ben maggiore. A loro volta molte grandi banche oggi stanno finendo di scontare l’effetto della crisi sulle loro valutazioni, che risultano incredibilmente attraenti, specie se teniamo conto di come le loro quote di mercato possano, potenzialmente, espandersi una volta completato il processo di consolidamento”.
 
Sembra decisamente più cauto il vicepresidente esecutivo e portfolio manager di Pimco, Mark Taborsky, che non sottovaluta l’impatto che una situazione così poco trasparente come quella del futuro della periferia europea potrà avere sull’inclinazione al rischio da parte di molti investitori: “la ripresa nel mondo occidentale sta vivendo una fase di profonda riflessione. Permangono numerosi motivi di diffidenza e di perplessità circa le sorti di molte economie. Per quanto riguarda l’Europa la dicotomia tra i motori della ripresa, come la Germania, e le periferie è talmente netta che diventa persino difficile progettare una politica monetaria che limiti i disagi per una di queste realtà.
Sul fronte statunitense invece, difficilmente, per numerose ragioni, assisteremo a un terzo round di quantitative easing, perciò sarà praticamente impossibile, in assenza di un supporto esterno così influente, osservare gli stessi ritmi di crescita a cui i mercati ci hanno abituato nell’ultimo anno”.
Dove guardare allora, per far fruttare i propri capitali?
Secondo Taborsky una delle allocazioni migliori è il mercato valutario, specialmente in riferimento alle monete dei mercati emergenti, che nonostante livelli di inflazione tali da spingere le banche centrali al costante monitoraggio e intervento di controllo, sembrano poter offrire ancora le prospettive di crescita più desiderabili per gli investitori. Una carta da giocare con accortezza, però, dal momento che la mancanza di reale conoscenza di quelle realtà minaccia l’ottimale bilanciamento tra rischio e ricompensa.
 
“Non c’è alcuna necessità di andare a puntare sulla crescita dei mercati emergnti allontanandoci dall’Europa”. È il suggerimento di Andrew King. “Quella che una volta era una logica territoriale degli investimenti oggi è stata completamente superata dalla penetrazione globale di molti marchi occidentali, ed europei in particolare nei mercati orientali o sudamericani. Se si decide di investire in titoli come Standard Chartered o HSBC, solo per monitorare il settore delle banche inglesi, si va a puntare su gruppi che ormai realizzano parti consistentissime dei loro utili nei mercati orientali a più alto tasso di sviluppo.
Non c’è alcun reale bisogno di andare in Cina e scommettere su marchi e industrie che a un investitore occidentale non dicono nulla e hanno insiti potenziali di rischio elevati, per beneficiare della crescita vertiginosa e dei cambiamenti strutturali che l’economia locale sta vivendo”.

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